I popoli di Trump
«I tre uomini più ricchi al mondo» (Mark Zuckerberg, Jeff Bezos ed Elon Musk) «sono in prima fila alla cerimonia di insediamento di Donald Trump» (Rai News online, 20 gennaio).
Sam Altman, amministratore delegato di OpenAI, ha versato un milione di dollari al comitato inaugurale della presidenza Trump (Forbes, edizione online 17 gennaio).
Intanto si profila un’Amministrazione infarcita di esponenti delle Big Tech, le grandi aziende tecnologiche e c’è chi evoca la cosiddetta «PayPal Mafia» (Corriere della Sera, 21 gennaio).
«È uno spettacolo impressionante. L’ultimo evento pubblico a Washington che ha raccolto così tanti boss del settore tecnologico nella stessa stanza è stata un’udienza del Congresso nel 2020 rivolta alle loro aziende» (BBC online, 20 gennaio). Non sono mancate ingenti donazioni alle cerimonie inaugurali anche da parte di altri settori, come quello automobilistico, Stellantis compresa (Milano Finanza, edizione online 14 gennaio).
Ricevimenti, pranzo ufficiale, balli, per una corte di miliardari plaudenti e fuori, in un freddo gelido, il “popolo” elettorale di Trump a gioire davanti ai maxischermi che trasmettevano le cerimonie riservate ai ricchi e potenti, e a sperare che qualche briciola più sostanziosa del solito possa in futuro rotolare giù dal banchetto permanente del grande capitale proiettato sui mercati mondiali ma sempre “dalla parte del popolo”. Un’immagine simbolo per quello che abbiano definito un modello di “populismo imperialista” (comunque da osservare e valutare nel suo concretizzarsi effettivo alla prova dei fatti e delle scelte politiche).
Chissà se lo spettacolo offerto da leader “anti-sistema”, nemici dei “poteri forti” e delle élite, accorsi ad omaggiare il presidente miliardario tra i miliardari, in un clima di trionfante appartenenza alla classe dominante, ha potuto instillare qualche sano dubbio tra le file dei proletari che hanno visto in Trump un loro difensore contro l’arroganza e l’avidità dei borghesi “progressisti” e liberal. Chissà se qualcuno si ricorderà il «grottesco spettacolo» delle migliaia di licenziamenti comunicate da Musk via mail, con l’imposizione, per i lavoratori rimasti in azienda, di 12 ore di lavoro al giorno, 7 giorni su 7, «sennò quella è la porta» (il Giornale, edizione online 5 novembre 2022). Chissà se la presenza di Jeff Bezos, tra gli elegantissimi ospiti della cerimonia di inaugurazione della seconda presidenza Trump, ha ricordato a qualcuno di questi proletari la vicenda dei dipendenti di Amazon costretti a pisciare nelle bottiglie di plastica per non perdere tempo nelle consegne (la Repubblica, edizione online 3 aprile 2021).
A quegli sprovveduti che credessero sufficiente, per difendere la truffa del “presidente del popolo” in lotta contro le élite, replicare che anche i democratici non sono messi meglio in quanto a matrice sociale capitalistica (lo stesso Altman ha avuto buon gioco a rispondere alle critiche rivolte da esponenti democratici per i copiosi sostegni economici a Trump ricordando come le stesse reprimende non si siano levate quando finanziava il loro partito), che i grandi gruppi economici non mancano certo tra i beniamini dell’altro grande partito della scena politica statunitense, che l’alternativa elettorale a Trump non garantiva nulla di meglio per la condizione proletaria, possiamo solo dire: questa è la libertà di scelta offerta alla classe dominata dal capitalismo giunto al suo stadio supremo, benvenuti nella democrazia imperialista! |