LORO E NOI - 29/11/2024
 
Para bellum

Sulla testata online Linkiesta (20 novembre) Gianni Vernetti – già sottosegretario agli Esteri con il Governo Prodi II – ha proposto una sintetica carrellata della proiezione globale, economica e politico-militare, della Cina, dalle aree contese del Mar Cinese Meridionale al Pakistan, da Gibuti agli Emirati Arabi Uniti.
La descrizione di questa espansione è preceduta però da un breve passo con cui l’autore si propone di fare i conti con interpretazioni dell’ascesa cinese legate a fasi precedenti e che avrebbero contribuito alla sottovalutazione della minaccia insita in questo processo di crescita.
«L’illusione del mondo occidentale di avere incluso la Cina in un sistema economico globale, confinandola al ruolo di fabbrica del mondo nella quale delocalizzare con facilità le proprie produzioni a costi ridotti, si è rivelata per molti versi ingenua».
Più che ingenuità si tratta di profonda incomprensione della realtà e della dinamica dell’imperialismo. Sarebbe bastata una lettura seria e non prevenuta del celebre (ma non per questo in genere realmente approfondito e capito dai politologi borghesi) saggio di Lenin sul tema per evitarsi la sorpresa e lo stupore per il fatto che decenni di imponenti flussi di investimenti di capitali in Cina hanno alimentato a loro volta la crescita e la maturazione imperialistica dello stesso capitalismo cinese, con le sue proiezioni e ambizioni, oggi evidenti.
Ma ignorare la teoria marxista dell’imperialismo, ignorare l’essenza sociale dell’imperialismo e le sue dinamiche storiche reali, non significa di per sé non potersi rendere funzionali agli interessi che in questa dimensione si esprimono, operano e si confrontano. Tutt’altro.
Ecco infatti Vernetti indicare in questo crescente dinamismo cinese non la manifestazione della proiezione di un imperialismo, della sua sempre più assertiva partecipazione alla spartizione del mercato mondiale, della sua spinta a ridefinire gli assetti e gli equilibri globali sulla base di rapporti di forza in trasformazione, mettendo in discussione sfere di influenza e gerarchie imperniate su altri imperialismi. Non indica nel dispiegarsi della rete economica e militare di Pechino ai più disparati angoli del pianeta il sempre più palese ingresso della Cina nel novero e nella competizione dei predoni imperialisti, tutti tesi a spartirsi il bottino mondiale sulla pelle e con il sangue del proletariato di tutti i Paesi. No, la Cina è parte dell’«Asse delle Autocrazie», ha stipulato un’«alleanza senza limiti» con la Russia di Putin.
«Sta prendendo forma una strategia militare globale di Pechino fatta di una rete di porti, basi e installazioni che presto potrebbero trasformarsi in una minaccia per le democrazie asiatiche e per l’Occidente».
La Cina non è parte dello scontro tra capitali, tra Stati al servizio di borghesie, tra imperialismi, scontro che sta sempre più accumulando la sua carica di violenza e distruzione. È parte invece di un minaccioso fronte unico di entità malefiche, pronte ad aggredire l’ormai immancabile e opportunamente malleabile «Occidente» con i suoi nobilissimi valori, mai contaminati dalla partecipazione alla spartizione imperialistica.
Con le specificità e le forme tipiche dei rispettivi percorsi storici, tanto nell’Oriente e nel Sud dell’imperialismo quanto nel suo Nord e Occidente, emergono chiaramente le coordinate della mobilitazione ideologica in vista di futuri conflitti.