LORO E NOI - 27/09/2024
 
Il lusso che non ci possiamo permettere

Su Internazionale (versione online) del 25 settembre, Stefano Liberti affronta il tema dei fornitori, nello specifico della Romania, dei grandi marchi della moda.
E così veniamo a sapere che queste grandi aziende del lusso, sempre attente a difendere la propria immagine, soprattutto quelle nostrane a difendere il Made in Italy, l’etica del lavoro ecc. ecc., a conti fatti non si fanno poi tanti scrupoli a sfruttare manodopera a basso costo e, infine, a licenziare in massa forza lavoro non più utile, perché nel frattempo diventata troppo costosa.
Nel reportage di Liberti fa impressione l’intervista ad una ex lavoratrice di un’azienda fornitrice di questi grandi marchi: ritmi di lavoro serrati, otto ore filate con una pausa pranzo di trenta minuti ed una sola di dieci per andare al bagno, stipendio di circa 450 euro netti al mese (secondo le parole di un sindacalista oggi in Romania sarebbe difficile avere una vita dignitosa con uno stipendio al di sotto dei 1.100 euro). Produttività elevata e paga bassa, ma per i grandi marchi della moda anche la Romania non basta più. Il salario minimo è stato innalzato a 740 euro lordi, ci sono state delle rivendicazioni salariali e quindi la forza lavoro rumena non è più allettante come un tempo. Dall’oggi al domani la nostra lavoratrice è stata licenziata, insieme a 77 colleghe, senza ammortizzatori sociali e con una famiglia da mantenere: «Eravamo come una grande famiglia», dichiara la ex operaia commossa, e descrive feste di capodanno in cui dirigenti e lavoratori ballavano felicemente assieme. Poi “la legge del mercato” è giunta a spazzare via tutto, illusioni comprese.
I grandi marchi del lusso, così attenti alle pratiche etiche della loro filiera produttiva (ovviamente a parole), ringraziano i lavoratori che fino a ieri sono stati da loro sfruttati fino all’osso e che adesso hanno perentoriamente lasciato per strada. Li ringraziano perché grazie a loro si sono garantiti affari miliardari, ma adesso “la pacchia è finita”.
Una vecchia canzone popolare intonava: «nelle miniere scaviamo l’oro, nelle soffitte ci manca il pan…». Dopo decenni di illusioni e ideologie il capitalismo globalizzato dell’anno 2024 non è nemmeno in grado di smentire i versi di una vecchia canzone “sovversiva”. Ai lavoratori sfruttati e licenziati, rimasti con un pugno di mosche in mano, resta soltanto la speranza degli ultimi versi: «e fate presto rivoluzione che noi siam stanchi ma di soffrir».