Il Paese degli scioperi
Sul Corriere della Sera del 10 settembre, Aldo Cazzullo dà voce ad alcuni lettori indignati per lo sciopero dei trasporti indetto da Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti, Faisa Cisal e Ugl Autoferro lunedì 9 settembre: «non è un bel rientro dalle vacanze trovarsi uno sciopero dei mezzi pubblici» rimarca un lettore; «Lavoratori che hanno il posto sicuro a vita qualunque cosa accada a quale titolo danneggiano pesantemente la vita di tanti cittadini?» gli fa eco un altro. Cazzullo, da buon interprete della temperie ideologica piccolo borghese che impregna il Belpaese (ci mancava giusto il lettore che ricordava come “quando c’era Lui, i treni sì che arrivavano in orario”) si unisce al coro alzando l’asticella dello sdegno e abbassando a sottozero il livello della discussione: «Domenica alla stazione di Bologna ho visto passeggeri piangere, dopo che il treno per cui avevano pagato decine di euro (e a volte più di cento) era stato cancellato». Ovviamente i prezzi sempre più insostenibili dei trasporti sono trattati dall’organo di stampa più rappresentativo del patto fondativo, come l’ennesimo fenomeno di natura: non c’è un soggetto che li ha alzati, sono alti e basta. E non essendovi un responsabile, non v’è neppure un accenno di critica verso questo aspetto. Ma andiamo avanti: «Ognuno di voi ha una storia di soprusi e inefficienza da raccontare» dice Cazzullo rivolgendosi agli utenti danneggiati da questi ingrati lavoratori che, secondo la narrazione veicolata dal Corriere della Sera, hanno tutto e non sono mai contenti. Ma i primi ad aver subito “soprusi ed inefficienze” sono proprio i lavoratori, il cui contratto nazionale è scaduto da 9 mesi e i cui salari non sono stati adeguati al continuo crescere dei prezzi al consumo. Ed è per rispondere a questi “soprusi ed inefficienze” che i lavoratori hanno scioperato. Il pezzo continua con Cazzullo che tira per la giacca il ministro dei Trasporti Matteo Salvini che «tra un comizio e l’altro con Vannacci» non si occuperebbe come dovuto del proprio ministero, «in un Paese invaso dai turisti». E già: stavolta Salvini ha omesso di precettare gli scioperanti, pratica per la quale il ministro e vicepremier si è già distinto in numerose occasioni. Resta poi il finale col botto: «Forse i cittadini è meglio averli dalla propria parte, non contro. Eppure troppi lavoratori pensano ancora che lo stipendio glielo paghi lo Stato, e non i passeggeri (con tutto quello che costano i biglietti, oltretutto)». Ed ecco, detto tra le righe, a chi giovano i prezzi alti dei biglietti: ai lavoratori e alle loro buste paga. Smettano dunque di scioperare, e cerchino piuttosto di “avere dalla propria parte i cittadini”, i quali evidentemente – e forse Cazzullo potrà spiegarci in che modo – faranno pressione su Trenitalia e sulle aziende municipalizzate dei trasporti acchè alzino i salari ai propri dipendenti. Oltretutto – fa notare Cazzullo – il suo degno compare Federico Rampini ha «dimostrato» sul Corriere della Sera del 9 luglio, che nel settore dei trasporti, laddove si sciopera di più i salari sono più bassi. Il tutto, rigorosamente, senza riportare dati, serie storiche a riguardo, e senza parlare della qualità degli scioperi, che può anche essere inversamente proporzionale alla quantità degli stessi.
Insomma, in mezzo al libero sfoggio di mal di pancia qualunquisti, a dogmi economici che non richiedono riscontri reali e dimostrazioni, a scomuniche contro gli scioperanti troppo garantiti, emerge con forza un dato: nello stato di natura capitalistico declamato dalle “grandi” firme del Corriere della Sera, hanno piena ed indiscutibile cittadinanza l’incremento dei profitti che non si risolve in alcun aumento del potere d’acquisto dei salari (alla faccia delle misere vulgate sui salvifici e puntuali effetti a cascata delle affermazioni aziendali sull’intero corpo sociale), i diritti del “cittadino consumatore” (sistematicamente ed ideologicamente sottratto ad ogni connotazione di classe), ed è invece lo sciopero, in quanto prassi, in quanto opzione di lotta e di rivendicazione a dover essere screditato e bandito. Nel loro ordine sociale “naturale”, agli operai sempre più precarizzati, ai lavoratori alle prese con salari sempre più inadeguati a consentire una vita stabile e dignitosa, possono spettare solo prediche ed elemosine. Ebbene, è sotto questo mucchio di spazzatura ideologica che questi cantori del buonsenso capitalistico vorrebbero seppellire la viva, necessaria ed insopprimibile realtà della lotta di classe.
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