LORO E NOI - 31/08/2024
 
Inganni “green” e “anti-green” sulla pelle dei lavoratori salariati

Non certo da oggi, per noi marxisti la questione ambientale, con tutte le sue implicazioni, i suoi problemi ed effetti, che tutti i giorni vengono costantemente mostrati e sottolineati dall’apparato mediatico (spesso con un’enfasi che va di pari passo con la superficialità e la manipolazione con cui vengono presentate le cause e le possibili soluzioni), non può che essere ricondotta alle contraddizioni di fondo del modo di produzione capitalistico. Alle sue leggi e logiche, che sottomettono il rapporto con la natura, l’organizzazione sociale come modo di esistere della specie umana nella natura, all’imperativo – gravido di orrori e distruzione – del profitto. Presentare la questione ambientale come se chiamasse in causa un “uomo” metastorico, come entità separata e separabile da una specifica società, come se non fosse parte integrante del problema storico dell’esistenza di un sistema capitalistico che ha esaurito la sua spinta progressiva e sta manifestando drammaticamente la sua contraddittorietà rispetto ai bisogni e alle potenzialità di avanzamento della specie umana, significa piegarla all’utilizzo borghese. Le frazioni borghesi, nella loro lotta tra loro e per mantenere asservito il proletariato, utilizzano tanto ideologie “green” quanto “anti-green”. Se non inquadrato nella prospettiva della lotta di classe contro il capitalismo, se non compreso nella sua matrice sociale e di classe, il tema della questione ambientale, attraverso le ideologie che intorno ad esso hanno preso sempre più corpo, non può che risolversi in un inganno, in un ennesimo strumento per confondere e aggiogare il lavoratore salariato al carro di interessi non suoi. La rivista Panorama del 17 luglio è uscita con un titolo in prima pagina che ha messo sotto accusa la transizione ecologica: «Green non è una transizione per poveri». Nell’articolo all’interno della rivista («La vita green presenta il conto») vengono riportati i diversi rincari che questa transizione ecologica starebbe comportando in diversi settori: «È notizia recente che le compagnie aeree per raggiungere gli obiettivi europei di abbattimento delle emissioni di CO, vogliono rincarare i biglietti» e continua «le tratte con maggiori rincari risultavano con partenza da Milano verso Bologna (+34 per cento), Firenze (+22 per cento) e Napoli (+21 per cento), nonché da Roma verso Napoli (+27 per cento)». Ai rincari sui biglietti degli aerei se ne aggiungono altri: «Anche vestirsi e mangiare richiede portafogli gonfi. Un capo di abbigliamento con fibre tessili rigenerate o da vestiti riciclati paradossalmente costa di più di uno realizzato con fibre vergini». Così, come riporta l’articolo, ristrutturare casa comporterebbe costi pesanti per una famiglia proletaria: «Mettere in regola un appartamento secondo i parametri Ue di efficienza energetica costerebbe almeno 40 mila euro di lavori».
Il taglio dato alla questione ambientale da questo settimanale dell’area di centro-destra potrebbe risultare accattivante per quegli strati proletari che effettivamente faticano ad arrivare a fine mese, che non riescono a comprarsi un'auto elettrica, per i quali la ristrutturazione “green” della propria casa si profila come un’ennesima mazzata e per i quali evocare l’urgenza dell’intervento a favore dell’ambiente, con i suoi costi, significa preannunciare ulteriori salassi, l’utilizzo strumentale del tema dell’ambiente per un ulteriore aggravamento della loro situazione, a beneficio di un giro d’affari e di ambienti economici tanto progressisti a parole quanto rapaci nei fatti.
Tanto più che Panorama, nella sua battaglia contro la transizione ecologica a danno dei «poveri», non usa giri di parole: la sostenibilità aumenterebbe i divari sociali e sarebbe «poco democratica».
Ma guardiamoli più da vicino questi alleati dei «poveri» contro la transizione ecologica «poco democratica»: «Non a caso il vicepresidente esecutivo di Pirelli, Marco Tronchetti Provera, ha definito le politiche green, “idiozie, fesserie”».
Eppure l’avvelenamento di Taranto, lo sterminio di intere comunità operaie per l’amianto a Casale Monferrato o a Bagnoli non sono «fesserie». La cementificazione che puntualmente, in combinazione con eventi atmosferici, si risolve in situazioni drammatiche con centri abitati distrutti non è un’«idiozia».
Il punto non è negare queste problematiche ma capire quali sono le dinamiche sociali che le hanno generate e i responsabili sociali che le hanno promosse, traendone profitto. Il punto è capire quale classe sociale, quali frazioni di borghesia, stanno puntando al gigantesco business di una colossale ristrutturazione industriale ammantata da valori “green”, quali frazioni borghesi invece stanno difendendo i loro interessi contestando questi valori e atteggiandosi a difensori dei «poveri». Il punto è capire che, senza una difesa di classe, sarà la nostra classe (e non i generici «poveri», categoria utilmente generica, tanto cara alla retorica populista o pietistica borghese), la classe operaia, a pagare il conto di questa ristrutturazione. Sarebbe una immonda beffa: la classe che ha pagato sulla propria pelle l’inquinamento, il dissesto ambientale, paga il conto per la classe borghese che ha fatto i soldi su quel dissesto.