Differenziata per i torsoli
Massimo Gramellini nella sua rubrica “Il caffè” sul Corriere della Sera del 3 luglio conferma pienamente di essere tornato nella modalità “normal”. Misurandosi non più con guerre, tensioni internazionali, situazioni sociali critiche, ma con un tema abbordabile senza che scattino ordini di scuderia non negoziabili, quello che un tempo non lontano era uno dei banditori della crociata contro il “complessismo” si ripropone beatamente come il depositario di una coscienza liberale, sapientemente incline al dubbio, estranea alla perentorietà di troppo facili certezze in odore di vecchi e nuovi totalitarismi. «Chi ha ragione?» si chiede a proposito della contesa via social sulla nuova abitudine dei genitori di accompagnare i figli all’esame di maturità con «un bouquet di fiori in grembo». Su questioni simili, il granitico nemico dell’infida complessità in tempi di chiamata alle armi si dilegua dietro le quinte, lasciando disinvoltamente il proscenio all’uomo della ponderata relatività, della consapevolezza della irrudicibilità del reale a semplicistiche dicotomie. Sa di essere in nobile minoranza ma questo – sulla questione di mamma e papà alla maturità – non lo induce certo ad abdicare al ruolo di custode di un senso della storia e della società trasmessogli dal percorso secolare del pensiero liberale, alieno da assolutizzazioni gravide di violenza e intolleranza.
«Lo schema dei social non prevede sfumature: ogni questione va spaccata in due come una mela. Ma per i pochi che si riconoscono quasi sempre nel torsolo, sopravvive una terza opzione, quella liberale».
Il fustigatore di ogni complessità come paravento di un immancabile putinismo, il dispensatore di scomuniche in nome di una guerra che non doveva prevedere altre interpretazioni che la difesa della democrazia ucraina e del diritto internazionale, oggi torna a librarsi al di sopra del rozzo manicheismo “social”, guardando ad esso con il distacco e la superiorità di una identità liberale consapevole delle sfumature dell’esistente e di come, di fronte all’imposizione di un’alternativa schematica e troppo riduttiva, sussista sempre «una terza opzione». Per certi opinionisti, che hanno alle spalle la sostanza sociale di frazioni borghesi sufficientemente forti per imporre il condono generalizzato agli svarioni e ai voltafaccia dei propri reparti d’assalto ideologici, non importa tanto che sussista un minimo di coerenza tra i proclami e le invettive di ieri e quelli di oggi. L’importante è parlare sempre e comunque dal pulpito.
Lo sapevamo, lo abbiamo scritto, le posture da cacciatori di complessisti, il fiero cipiglio di chi non ammette altra verità che quella del proprio schieramento borghese, ammantata di sacri valori e principi non discutibili, non avrebbero impedito a questi paladini del dubbio (quando fa fine e non impegna) di tornare a giocare al Socrate senza rischio di cicuta, al nobile intelletto travagliato dal sapere di non sapere. Meglio ancora se con una spruzzata di liberalismo (anche questo fa molto fine e impegna ancora di meno).
Lo spadino con cui tracciare il categorico solco dell’o di qua o di là (ovviamente bandendo da questo aut aut ogni considerazione che riconduca una reale complessità sociale alla divisione in classi) è stato però solo riposto nel comodino a fianco del letto. Torneranno a brandirlo quando gli interessi borghesi di riferimento lo richiederanno.
Questa è la loro unica, autentica, coerenza.
Altra coerenza non ci aspettiamo, sappiamo che per loro è impossibile. A fronte delle invereconde capriole liberali di questi cultori di un dubbio che non ammette dubbi sul dominio di classe della borghesia, preferiamo mantenere la nostra coerenza, marxista, classista e anti-liberale. Una coerenza teorica, politica, di classe che ci consente di guardare alle loro pantomime ex cathedra, per dirla con Jack London, senza odio e senza pietà. Di meno non meritano, di più non valgono.
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