LORO E NOI - 30/05/2024
 
L’«analisi» ruspante...

Danilo Taino sul Corriere della Sera del 9 maggio ci informa che il «benessere» nel mondo è distribuito secondo una «piramide» che premia i Paesi piccoli. Sarebbero quelli infatti in cui maggiormente si «attrae benessere».
Questa è la conclusione a cui perviene un’«analisi» (sic) condotta dal mensile americano Global Finance. I criteri? Presto detto. Si prende il Prodotto interno lordo, lo si divide per il numero di residenti fissi e lo si rapporta al livello locale dei prezzi…
In testa risulta il Lussemburgo e tra i primi dieci figurano Macao, Singapore, Qatar, Svizzera e San Marino (gli Stati Uniti sono al nono posto).
Bontà sua, la stessa rivista ricorda che questi confronti vanno effettuati con prudenza: le medie nazionali possono nascondere la presenza di molti ricchi ma anche di molti poveri (a queste vette di consapevolezza può arrivare oggi l’«analisi» della stampa borghese internazionale...) e non pochi di questi piccoli Stati sono in realtà paradisi fiscali (molto denaro passa da loro ma senza necessariamente influire sul tenore di vita della popolazione).
La conclusione è surreale: «la retorica del “grande è bello” gonfia certamente la vanità degli Stati, dei governi, degli eserciti; ma non necessariamente i conti correnti dei cittadini».
A cosa vuole arrivare questo ragionamento? Intende suggerire che un maggiore benessere mondiale potrebbe essere raggiunto spezzettando l’attuale configurazione politica globale in una miriade di minuscoli Stati? Che le contraddizioni del capitalismo, le sue strutturali diseguaglianze, i suoi inevitabili conflitti potrebbero essere sanati da una più diffusa dimensione micro-statale, capace di prevalere sui grandi Stati? Che gli Stati, i governi, gli eserciti esistono non per tutelare interessi borghesi, non per garantire alla propria borghesia di riferimento capacità di intervento nella competizione per la spartizione dei mercati mondiali e del plusvalore mondiale (i frutti di questa spartizione per altro rimpinguano anche le casseforti dei paradisi fiscali del “piccolo e bello”) ma per soddisfare la propria, assurda «vanità»? Con questo strano ragionamento ci si vuole dare ad intendere che non esiste alcuna connessione, alcun nesso economico e politico tra il “grande e brutto” delle maggiori centrali imperialistiche, con i loro eserciti di massa, i loro investimenti globali, le loro multinazionali, i loro grandi mercati interni e i loro grandi apparati industriali e il “piccolo e bello” (si fa per dire) di realtà come il Qatar o la Svizzera? Ci si vuole far credere che sia solo un caso che la piccola e pacifica Svizzera possa coesistere, nel quadro mondiale del capitalismo, con i grandi e armati Stati Uniti, con le potenze emergenti come la Cina e con le situazioni disperate dei Paesi che occupano le ultime cinque posizioni nella classifica, Mozambico, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Burundi e Sud Sudan (in cui per altro non è detto che non possano risiedere «cittadini» in grado, in mezzo alla povertà dei propri connazionali, di mettere il proprio gruzzolo borghese al sicuro in uno dei piccoli Stati “virtuosi” che occupano le prime posizioni in classifica…)? Con questa «analisi» si vuole sostenere che non è più vero che i flussi di denaro che si riversano nei pulitissimi (spesso anche tecnologicamente avanzati e molto “green”) paradisi fiscali sono sporchi del sangue spremuto con lo sfruttamento, le guerre, i massacri consumati in altre parti del mondo, meno contrassegnate dal “piccolo e bello”? Che non è più vero che perché possano esistere, nel sistema capitalistico, i piccoli Eden borghesi di qualche micro-Stato europeo o di qualche emirato occorre che esistano gli inferni proletari (talvolta anche ben presenti, nascosti dai grattacieli sfavillanti ed esclusi dalle immagini da cartolina, sul suolo stesso di questi piccoli gioielli di statualità) e le popolazioni devastate in altre lande del mondo?
Non è chiaro.
Ciò che è chiaro è quanto sia ormai patetica, persino risibile, la pretesa (che si può basare solo sulle ragioni della forza reale, concreta, della classe dominante, con i suoi Stati, grandi e piccoli) della stampa borghese, degli ambiti intellettuali borghesi, che producono e veicolano queste «analisi», di liquidare la teoria marxista in quanto smentita dalla Storia, inservibile, inadeguata a capire le dinamiche essenziali del mondo contemporaneo.
Lasciateci pure, signori, il concetto scientifico di classe, la teoria marxista dello Stato, la critica marxista alla formazione economico-sociale capitalistica. Tenetevi pure – solo il vostro dominio di classe vi consente di farlo impunemente – la media del pollo.