LORO E NOI - 29/04/2024
 
Il bene rifugio di ogni borghesia

In un articolo che intende riassumere i termini del dibattito tra i vertici militari italiani sulle urgenze che le varie polveriere nel mondo stanno imponendo e sulle scelte che sarebbero necessarie a livello europeo in tema di eserciti e armamenti, La Stampa (16 aprile) propone alcune sintesi particolarmente indicative del clima politico che si va sempre più delineando.
Lo storico quotidiano di casa Agnelli si fa portavoce delle preoccupazioni espresse dai capi di stato maggiore: «I generali vedono nero».
Gli sviluppi, le tensioni del quadro imperialistico mondiale non sfuggono nemmeno a noi ma la nostra preoccupazione ha ragioni e una matrice sociale molto differenti.
La Stampa sembra invece convinta che esista un grande fattore unificante, un fondamentale elemento accomunante che tiene insieme i vertici delle forze armate, l’industria delle armi (da tempo non così florida e arrembante), i gruppi capitalistici che si esprimono attraverso i maggiori mass media, il mondo politico “ufficiale” e quei milioni di proletari che nelle guerre hanno sempre e solo assolto il compito di carne da cannone o di “danni collaterali”. E lo indica con una formula che solo qualche decennio fa sarebbe apparsa, su una grande testata della borghesia “seria”, come sfoggio di retorica o quantomeno manifestazione di una concezione rozzamente semplificatrice ma che oggi – segno dei tempi – suona molto più in sintonia con un sentire diffuso, con il baricentro ideologico della società capitalistica: «le forze armate potrebbero essere chiamate a fare quello per cui esistono: combattere per difendere la patria».
Se i tempi e lo scontro tra interessi borghesi lo richiedono, in un istante possono finire al macero, nel sottoscala delle ideologie scadute e inadatte, anni e anni di altisonanti baggianate come quelle con cui si salutava il mutamento di fondo della funzione degli eserciti, non più finalizzati alla guerra ma a garantire la salvaguardia delle popolazioni contro le calamità naturali, contro la malavita organizzata etc.
Ma soprattutto è significativa la spiccia riproposizione dell’antica truffa: gli eserciti servono a difendere la patria, sono posti a tutela di una dimensione ideale in cui scompaiono tutte le differenze di classe.
Il problema, poi, è che ogni patria è per definizione nel giusto, ogni patria scende in guerra solo ed esclusivamente per difendersi e in nome di sacrosanti diritti che sono o rischiano di essere orribilmente calpestati. Sfidiamo a trovare una classe dominante che, con il proprio esercito, non abbia messo mano alle armi senza dichiararsi vittima di soprusi o di minacce. Le varie borghesie, in tutte le forme di Stato, ideologiche e politiche con cui si è concretizzato il loro potere, non si sono fatte davvero mancare nulla: guerre e invasioni in nome della pace, dei diritti dei popoli e della democrazia (o, in tempi più recenti, della “denazificazione”), città spianate in nome di preoccupazioni umanitarie, strenue difese del suolo patrio a prezzo dell’ultima goccia di sangue proletario (mentre i borghesi della patria per cui morire mettevano al sicuro o addirittura rimpinguavano il proprio gruzzolo), offensive condotte per neutralizzare armi di distruzione di massa poi rivelatesi inesistenti o per spodestare dittatori prima foraggiati dalle stesse potenze poi divenute “liberatrici”.
In questo tourbillon di torti e ragioni, di difese che diventano aggressioni a seconda della fanfara, di sentimenti nazionali offesi e da onorare a prezzo di stermini, c’è un solo dato su cui tutti i capitalisti e i governanti patriottici concordano: al momento buono i proletari devono soffrire e morire per la propria patria di riferimento senza fare troppe domande.
La Stampa, sottoscrivendo le sferzanti critiche dei generali (che «fremono») ai «politici» (ancora una volta: un tempo questa trita e penosa retorica dei vertici militari che non fanno parte del mondo politico delle classi dominanti avrebbe incontrato probabilmente più remore e imbarazzi nell’essere proposta con così piena e disinvolta cittadinanza su un importante giornale della grande borghesia…), riporta una sonante rivendicazione da parte del gotha delle forze armate: «Noi militari i nostri compiti a casa li sappiamo fare».
Non abbiamo difficoltà a riconoscerlo.
La domanda è di chi è la casa.