La politica nel «misero e ovvio senso di tale parola»
Internazionale, il settimanale di sinistra che si propone di fornire una selezione dal «meglio dei giornali di tutto il mondo», ha pubblicato un editoriale del direttore Giovanni De Mauro (5/11 aprile) in cui la questione del conflitto ucraino, i torti e le ragioni che si confrontano e si intrecciano in essa, cause ed effetti, possibili sviluppi e ulteriori pericoli da scongiurare, sono inquadrati attraverso una sequenza di domande.
I quesiti, evidentemente posti in termini tali da suggerire i presupposti per un giudizio il più possibile obiettivo e consapevole della gravità e della complessità della questione, sono molto indicativi dello stato attuale della sinistra “mainstream” (una volta avremmo scritto riformista, ma anche questo aggettivo è diventato incongruente rispetto alla prassi reale di quest’area politica), anche nelle sue componenti meno banali e più preparate.
Le due sequenze di domande (la prima rivolta «a chi pensa che sia meglio smettere di sostenere militarmente l’Ucraina», la seconda a coloro che invece sono favorevoli alla prosecuzione del sostegno militare a Kiev) si risolvono, nonostante l’evidente piglio intellettuale (modello: qua non si fa sconti a nessuno in nome della ricerca del giusto punto di equilibrio), in una sfilza di argomentazioni disperatamente inchiodate al truciolato di concetti come «libertà», i diritti di uno «stato sovrano», il «futuro dell’Europa», i «valori democratici», le «soluzioni diplomatiche». L’unico, vago, accenno alla dimensione sociale della guerra, ad una chiave interpretativa che non si fermi all’esistenza, assolutizzata e sacralizzata, degli Stati sovrani e della diplomazia, totalmente sottratti ad ogni determinazione di classe, è quello agli affari dell’«industria militare» e degli «idrocarburi» (il solito capitalismo “cattivo” che non si rassegna a cedere il passo a quello illuminato e “green”).
Di fronte ai fatti di Aigues-Mortes nel 1893 – quando i lavoratori migranti italiani, indicati come bersaglio della rabbia del proletariato di questa località del Sud della Francia, divennero vittime di una caccia all’uomo – Antonio Labriola riaffermò con parole potenti e splendide il valore politico e ideale dell’internazionalismo proletario.
Il teorico marxista, di fronte all’esplodere dei «profondi e covati odi di nazione», condannò e smascherò l’interessata pochezza di quelle interpretazioni che si risolvevano nella distinzione nazionale, «di qua l’Italia, di là la Francia, come due sistemi di politica, secondo il misero e ovvio senso di tale parola».
Labriola ribadiva come al di sopra dei «barbaramente trucidati» e dei «barbari trucidatori» si dispiegasse, condizione pervasiva e determinante, «il sistema capitalistico tutto intero, contro del quale sono rivolti gli atti e i pensieri, i sentimenti e le parole di noi socialisti».
Le parole, le idee di un socialista del 1893 svettano, a paragone dei ragionamenti della sinistra attuale, come un’altra e superiore civiltà, un faro di capacità di analisi e di coerenza politica, come una luminosa anticipazione di un futuro di rinnovata coscienza purtroppo oggi ancora terribilmente distante.
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