Se è solo per la “Difesa”…
MF-Milano Finanza, «il quotidiano dei mercati finanziari», lo annuncia in prima pagina (1°marzo): «La Difesa corre in borsa».
E precisa: «Dall’invasione dell’Ucraina l’indice di settore è salito del 75%».
Grandi affari per gruppi come Bae Systems, Rheinmetall e Leonardo (l’azienda italiana in due anni di guerra ha registrato un +130% nella capitalizzazione di mercato e ha chiuso il 2023 con 18 miliardi di euro di ordini). Insomma, la guerra può fare un gran bene al capitalismo...
Molto di ripugnante ma niente di nuovo, almeno per chi non si è bevuto le panzane – tanto grottesche quanto interessate – in circolazione da decenni, dagli illustri ambiti accademici ai talk show, sulla mutata natura del capitalismo, sulle “nuove” possibilità di governarlo verso un futuro senza guerre, sfruttamento e tutte quelle enormi, devastanti contraddizioni che il marxismo ha invece individuato e analizzato come intrinseche a questa formazione sociale.
Se dobbiamo registrare una novità è il ricorso ormai sistematico ad una terminologia meno cruda (e veritiera) per definire la guerra e i fenomeni ad essa connessi. La borghesia non fa più, come in passato, i soldi con le armi, con le guerre, con i massacri. Li fa con la “Difesa”…
La chiamino come vogliono, ma è sempre quella che Marx definì «l’industria di macellare gli uomini». E può sempre rivelarsi prodiga di utili e dividendi.
Sarebbe un po’ meno rivoltante se tutto questo gigantesco giro di affari non fosse accompagnato da orde di politicanti e ideologi impegnati a deprecare l’ennesimo “ritorno” della guerra, a stracciarsi le vesti per l’immancabile ripresentarsi della malvagità umana incarnatasi nel singolo “cattivo” di turno, a lanciare appelli per l’ennesimo riarmo finalmente “giusto” e “pacificatore”. Ma anche queste immonde presenze fanno parte a pieno titolo del funzionamento capitalistico.
Che l’industria del macello umano sia una importante componente dell’economia è perfettamente coerente con l’insieme della società capitalistica, con le sue dinamiche costitutive ed essenziali. In una società in cui il profitto è la chiave di volta delle relazioni umane, in cui il lavoro umano è merce, in cui ogni essere umano, la sua vita e la sua dignità, hanno un prezzo sul mercato, non ci deve stupire se la guerra, la distruzione di intere comunità può diventare una buona notizia per importanti settori economici.
Di fronte a questo ci sono poche alternative. O si accetta il tutto come dato “naturale” e immodificabile e ci si rassegna ad un’umanità prezzata e al servizio del capitale, fino al macello. O ci si limita alla condanna morale, agli auspici di una rigenerazione “interiore” di un essere umano decontestualizzato dalla società specifica in cui è determinata la propria reale esistenza storica. E così facendo ci si unisce nei fatti al coro dei falsi profeti di un capitalismo che può superare la propria natura senza bisogno di lotta di classe e rivoluzione, ci si unisce alle legioni ideologiche in oggettivo sostegno alla perpetuazione di questo sistema. O si entra nella prospettiva di una critica radicale al capitalismo, della formazione di una soggettività politica rivoluzionaria che sappia cogliere le contraddizioni capitalistiche come potenzialità storiche all’interno di una strategia di superamento di questa società.
Sulle macerie delle illusioni borghesi coltivate per decenni, sotto la spinta del ritorno delle parole “riarmo” e “guerra” nell’abituale vocabolario politico di metropoli imperialistiche che stanno rapidamente gettando al macero le logore formule con cui avevano equiparato il mercato alla pace, la scelta sta diventando sempre più chiara e urgente.
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