LORO E NOI - 26/03/2024
 
Si è sbagliato

Il settimanale Internazionale (15/21 marzo) ha riportato un’ampia sintesi di un articolo apparso sul New York Times a firma del direttore della World Peace Foundation della Tufts University, negli Stati Uniti.
L’esperto aveva sostenuto nel 2016 che i tempi delle carestie di massa erano finiti.
Ora ha dovuto ammettere: «Mi sbagliavo».
Nel 2016 le Nazioni Unite stimavano che le persone bisognose di aiuti urgenti fossero 130 milioni, alla fine del 2023 risultavano 363 milioni (un aumento del 180%).
Come spiega l’esperto questo suo terribile errore di valutazione, l’atroce e spietata smentita di questa sua previsione?
«Avevo sottovalutato la crudele volontà di alcuni leader di usare la fame come arma di guerra».
Per contro aveva «sopravvalutato la disponibilità dei donatori».
Ora sono molte le realtà al mondo che sono a rischio di crisi alimentare o devono già fronteggiarla. Dall’Afghanistan e dalla Siria al Mali e alla Corea del Nord. La condizione alimentare della Striscia di Gaza è diventata gravissima. Particolarmente drammatica è la situazione del Corno d’Africa.
L’esperto elenca i molteplici fattori che concorrono a generare una crisi alimentare: raccolti rovinati, prezzi alti dei generi alimentari, disoccupazione e soprattutto la guerra.
Rincara, quindi, il suo appello ad una mobilitazione contro questa piaga globale con una nota di allarme aggiuntiva: la fame nel mondo non è solamente «una macchia sulla nostra coscienza», può rivelarsi una «minaccia per la sicurezza», per la stabilità sociale e politica: le carestie possono determinare collassi sociali, indurre migrazioni di massa, alimentare disperazione, proteste e perfino «far cadere i Governi»…
Insomma, dopo aver letto le nuove conclusioni dell’esperto, che smentiscono le precedenti, si deve concludere ancora una volta che il capitalismo non rinuncia a diffondere guerre, che le leggi del mercato possono tranquillamente condannare alla fame interi popoli, che gli aiuti internazionali sono condizionati da logiche politiche e interessi che non si prestano a dare vita ad un piano coordinato e generalizzato di lotta alla fame nel mondo.
Infine, apprendiamo dalle considerazioni dell’esperto che un mondo capitalistico senza le contraddizioni e le diseguaglianze proprie del capitalismo sarebbe un mondo capitalistico, irreale certo, ma più stabile e tranquillo.
L’esperto ha ragione, si è sbagliato. Ma finché non capirà il capitalismo continuerà a sbagliare, insieme a tutti gli altri esperti nel ricucire ogni volta il logoro e fragile tessuto delle illusioni di un capitalismo senza guerre, senza fame, senza il sistematico sacrificio dell’essere umano sull’altare del profitto.