State buoni se potete
Il 30 gennaio Maurizio Ferrara, nell’editoriale del Corriere della Sera titolato “Il disagio e l’errore”, prende in esame le proteste degli agricoltori che in queste settimane hanno preso corpo un po’ in tutta Europa. L’autore si dimostra comprensivo nei confronti delle ragioni del mondo agricolo, ma altrettanto ne deplora le intemperanze.
Un colpo alla botte e uno al cerchio.
Non perdiamoci in commenti riguardo la puntuale vocazione di un giornalone “istituzionale” come il Corriere a incanalare la protesta nei binari del quieto dialogo democratico e nel rispetto della cornice istituzionale europea. Siamo ancora in tempi in cui le frazioni borghesi più forti e politicamente influenti hanno interesse a sacralizzare i riti e i precetti della forma democratica del loro dominio e, almeno in Italia, non si discostano sensibilmente dal canovaccio della costruzione comunitaria come suprema manifestazione dell’esercizio di questa democrazia.
Ci limitiamo a porre qualche domanda: se le stesse proteste fossero state condotte da masse di proletari per la difesa dei propri diritti, avrebbero avuto la comprensione del Ferrara di turno?
Oppure avrebbero visto lo scatenarsi di forze dell’ordine pronte a manganellare quanti fossero a tiro? Dove sono finiti i legislatori solerti nel sostenere norme restrittive a tutela del cittadino automobilista, privato da prepotenti contestatori del suo diritto alla libera circolazione? Dove sono finiti i politicanti che si ergono a protettori dell’economia nazionale, del Paese sano e per bene che non può essere “preso in ostaggio” da minoranze facinorose? Come è possibile che questi integerrimi difensori dell’ordine pubblico e della pubblica viabilità abbiano lasciato come d’incanto il posto a ministri repentinamente disponibili a schierarsi con le ragioni dei trattori che bloccano strade e autostrade? Dove è finito il dibattito (definiamolo, così con eccessiva generosità) sullo sciopero, forma di agitazione e di rivendicazione antiquata (per i padroni e i loro tirapiedi ideologici la lotta dei lavoratori, a differenza della propria, è sempre fuori dal tempo), che nuocerebbe alla popolazione innocente, al normale funzionamento della vita civile? Forse bloccare la circolazione è un atto grave e da sanzionare se a bloccarla è un operaio, un facchino, un proletario ed è invece espressione della sacra rabbia popolare se lo fa un imprenditore agricolo?
Questa è la realtà della protesta, non stiamo parlando di bracciantato o di mitologiche comunità contadine, ma di aziende agricole pienamente inserite nella dinamica del capitale e che non intendono cedere fette dei loro profitti ad altri settori della borghesia. È una lotta interna a frazioni borghesi. Ma di una cosa possiamo essere certi: se non si organizzeranno anch’essi e non si difenderanno come classe, sarà sui proletari che si scaricheranno alla fine i costi tanto delle brillanti operazioni condotte in nome della “green economy” quanto della patriottica protezione del capitalismo agricolo nazionale.
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