Più “working poor” e più incertezza
Il quotidiano Avvenire intitolava la prima pagina del 26 ottobre “Poveri si nasce e si diventa”. Riprendendo i dati più aggiornati dell’Istat, si contano in povertà assoluta 5,6 milioni di cittadini italiani, pari all’8,3% delle famiglie, e con un incremento in un solo anno di +350 mila individui. A pesare è innanzitutto la galoppante inflazione, dove tutto aumenta di prezzo... tranne sostanzialmente quello della merce forza-lavoro, ovvero i salari che si trovano pertanto erosi e sotto pressione essendo inchiodati a sé stessi da tempo immemore.
Se la variazione percentuale sull’anno precedente dell’indice dei prezzi era addirittura negativa nel 2020 (-0,3%), nel 2021 era +1,9% (dall’introduzione dell’euro, in vent’anni di calcolo, è stata poco meno dell’1,5%). Nel 2022 c’è una svolta: si registra un balzo dell’8,4%, superiore anche all’inflazione registrata in Germania (+7,9%, fonte Destatis) e in Francia (+5,2%, fonte Insee). A settembre 2023 sull’anno precedente siamo al +5,7% per l’indice generale. La fiammata inflattiva non si è pertanto ancora esaurita.
Il rincaro dell’energia e dei generi alimentari, dicono dovuti essenzialmente allo scoppio della guerra in Ucraina, hanno avuto però anche i loro beneficiari, assieme a chi ha visto arretrare la propria condizione economica. Solo per prendere ad esempio uno specifico settore, riferiva La Stampa di circa un anno fa (“Società energetiche: record di fatturato e utili nel post-pandemia”, pubblicato sul loro sito il 20/11/2022) che «il margine operativo netto, una buona misura della redditività delle aziende energetiche, ha sfiorato un record di 31,7 miliardi di euro, il doppio rispetto ai 15,9 miliardi del 2020 (+98,6%) ed oltre un terzo in più (+36,3%) rispetto ai livelli del 2014». La crisi di alcuni è la prosperità di altri, in questo caso.
Ed un ulteriore round è promesso dal recente innalzamento delle tensioni relative alla storica questione israelo-palestinese. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, gioca d’anticipo e ci assicura che «La situazione di emergenza [...] rischia di far esplodere altre problematiche, mi riferisco a quello dell’energia, come accaduto per la guerra della Russia in Ucraina, per l’approvvigionamento di gas e petrolio» (Il Sole 24 Ore del 10 ottobre scorso, edizione online, “Guerra in Israele, bollette e benzina in Italia a rischio: ecco perché”).
Si tenga inoltre presente, e ciò aumenta il quadro di evidente contraddizione sociale, che il Pil italiano l’anno scorso è cresciuto del 3,7% e gli occupati sono aumentati di oltre 500mila unità. Crescita per tutti dunque? Più lavoro = più benessere? L’istituto di statistica nazionale dice il contrario, aumenta la pauperizzazione.
Se la povertà colpisce relativamente di più al meridione, gli immigrati, chi vive in affitto e i nuclei famigliari più numerosi – per cui nelle statistiche risultano poveri 1 milione e 270 mila minorenni –, ora emerge più distintamente anche la figura del working poor. «La povertà non risparmia nemmeno gli operai», scrive il giornale dei vescovi, «lavorare non basta per difendersi dalla povertà. Il 14,7% delle famiglie dove la persona di riferimento è un operaio, cioè una su sette, è povera».
Bambini (delle famiglie proletarie più numerose, con figure che apportano un reddito spesso occupate intermittenti, precarie o disoccupate) più poveri, operai – che pur lavorano – più poveri di prima... ed anziani, dopo una vita da salariati si intende, in prospettiva più poveri (e la nuova finanziaria che bolle in pentola punta a fare cassa sulle pensioni dei dipendenti pubblici)... è l’immagine di un capitalismo in cui la mano invisibile del mercato e i rappresentanti politici della classe dominante non hanno nemmeno attenuato in senso riformistico borghese l’ampliamento delle contraddizioni sociali che si sono fatte strada a spron battuto.
Sempre meno base materiale hanno le ideologie borghesi di un benessere generalizzato, di un capitalismo in grado di premiare chi sgobba a testa bassa. Sempre più la realtà mette di fronte agli occhi della classe sottomessa uno scenario fatto di incertezza e violenza, che per ora tocca direttamente altri comparti del proletariato internazionale, come nella guerra in Ucraina a cui adesso si aggiunge un ulteriore focolaio in Medio Oriente.
Gli strumenti concettuali del marxismo erano pronti, lo sono ancora e lo saranno, non solo per spiegare scientificamente queste contraddizioni, ma anche per indirizzare la classe rivoluzionaria all’unica soluzione pratica di queste, che consiste nell’abbattimento del capitalismo e del suo superamento con la socializzazione dei mezzi di produzione.
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