Crisi cinesi ma non solo cinesi
Puntualmente, anche in Italia, fanno notizia le sorti del gigante del settore immobiliare Evergrande, il gruppo più indebitato al mondo oberato da 300 miliardi di dollari di debito, costretto a rinegoziare e a rinviare i pagamenti sulle proprie obbligazioni, a fronteggiare indagini giudiziarie che hanno già portato all’arresto di alcuni dirigenti responsabili della gestione patrimoniale. Quello di Evergrande rappresenta un caso emblematico della fragilità che ancora caratterizza il sistema finanziario cinese, un caso che rischia di avere conseguenze più ampie sull’economia della Repubblica Popolare e su tutta l’economia internazionale. Un caso sicuramente legato alle dimensioni e alle caratteristiche del capitalismo cinese ma che non può essere confinato e rilegato come esclusivo problema cinese. Il Sole 24 Ore del 26 settembre («Evergrande, chiuso l’accesso ai bond. Saltano i pagamenti su un’emissione») riporta come un quarto del totale dei bond emessi dal gruppo sia collocato all’estero. Il settore immobiliare rappresenta circa un quarto dell’economia cinese e la sua crisi ha effetti su tutta l’economia statale che, rallentando, rischia di far diminuire i tassi di profitto dei tantissimi gruppi mondiali che vedono ancora la Cina come un importante mercato in cui esportare merci o capitali. La maturità imperialistica della Cina è anche questo: crisi finanziarie frequenti, gigantesche e potenzialmente destabilizzanti che rischiano di diventare crisi internazionali e che aumentano, ancora di più, l’incertezza di un mondo già di per sé fragile, insicuro e violento. La Cina ormai è integrata nel mercato mondiale e le sue crisi sono crisi del mercato mondiale.
|