LORO E NOI - 17/08/2023
 
L’infido tributo II

Nella ricorrenza del 67° anniversario della tragedia mineraria di Marcinelle, il copione della celebrazione retorica governativa era facilmente prevedibile: i minatori morti perché la borghesia li ha sfruttati, ha macinato profitti sulle loro carni, le loro vite, ha fatto i soldi risparmiando anche sulle loro condizioni di sicurezza (come è destino capitalistico dei proletari di ogni nazione e come è vocazione tipica della borghesia di ogni nazione) sono diventati i caduti della «comunità nazionale», di una comoda patria borghese senza classi e conflitto di classe. Nell’insieme nulla di imprevedibile, lo ribadiamo. Eppure qualcosa nella nota emessa dalla premier Giorgia Meloni per l’occasione è riuscito comunque a colpirci. «Lavorarono duro, con umiltà e dedizione, senza garanzie, in condizioni terribili e ora inimmaginabili» (Rai News, 8 agosto).
Sarà che ormai da troppi anni la leader populista, la nemica giurata dei poteri forti, viaggia, vive, fa politica con i benefici, le auto, i voli e i posti riservati, le location da vip e le cene di gala in omaggio agli esponenti politici della classe dominante, sarà che da troppo tempo si è abituata alle condizioni e ai ritmi di chi fa politica al servizio della borghesia, ricevendone in cambio la logica ricompensa in termini di stile di vita e di retribuzioni (ci perdoni l’onorevole Fassino…), ma le condizioni di lavoro, di insicurezza dei minatori di Marcinelle possono essere diventate pure «inimmaginabili» per lei e per i suoi colleghi, certamente non per altri nostri contemporanei appartenenti ad altre classi sociali. Non sono poi così «inimmaginabili» per chi continua a morire in cantiere (magari in età in cui il corpo del lavoratore è più esposto a rischi ma che deve ancora essere esposto nel nome dell’etica del lavoro tanto cara ai professori Fornero e Cassese). Non lo sono diventate per i facchini che versano sudore e sangue (soprattutto quando le forze dell’ordine devono ristabilire l’ordine borghese) per il bene dei padroni dell’effervescente settore della logistica. Chissà se le trovano «inimmaginabili» le lavoratrici impiegate nei campi tra i resort di lusso della Toscana, costrette a lavorare per dodici ore sotto il sole per paghe da fame e sottoposte ad abusi e prevaricazioni costanti (la Repubblica, 31 luglio)?
Ma tutto questo Giorgia non lo sa.