LORO E NOI - 31/07/2023
 
La fine delle illusioni

Il capitalismo deve produrre continue illusioni. Deve continuamente presentarsi come il migliore dei mondi possibili, come il punto di arrivo della storia della società, come la forma “naturale” di esistenza collettiva dell’essere umano, come sistema senza possibili alternative. Deve illudere le masse proletarie, gli sfruttati, che in questo sistema anche per loro esistono crescenti e sicuri spazi di benessere, di realizzazione, di stabilità. Che anche per loro l’intrinseca armonia delle leggi del mercato, la “naturale” razionalità del modo di produzione capitalistico riservano frutti durevoli e abbondanti. Alle prese con le impellenti esigenze del profitto, della concorrenza, del mercato tipiche dell’epoca borghese, il capitalismo, più delle formazioni sociali che lo hanno preceduto, ha dovuto generare narrazioni sempre nuove: dalla dottrina sociale della Chiesa che avrebbe dovuto mitigare le contraddizioni oggettive del modo di produzione con la consapevolezza di una dignità umana sottratta alla lotta e alla coscienza di classe, al corporativismo fascista chiamato a garantire “il giusto” alle classi avversarie se avessero collaborato in nome dell’interesse nazionale, dal mito del self made man con cui cercare di smussare la percezione della realtà di sfruttamento e di insicurezza sistematica per la classe dominata, al sogno di benessere generalizzato dato dallo sviluppo industriale e dal mercato di massa degli anni ‘50 e ‘60, fino alla “fine delle classi”, all’arricchimento facile tramite gli investimenti in titoli di debito negli anni ‘80 e al benessere globale a cui avrebbe condotto il capitalismo in veste liberale dopo il crollo dell’Urss e del falso socialismo, con il corollario della sbornia europeista degli inizi degli anni Duemila. Tutte queste illusioni, proprio perché illusioni, sono cadute una dopo l’altra lasciando spazio alla realtà: nell’anno del signore 2023, quello stesso Occidente che con la sua particolare declinazione di capitalismo doveva portare benessere in tutto il mondo, è teatro di una sempre più spinta polarizzazione della ricchezza e di un conseguente, progressivo, processo di impoverimento di sempre maggiori coorti di proletari, tanto che, per la prima volta da tempo immemore, i figli vedono il loro tenore di vita abbassarsi rispetto a quello dei padri. Oltre che di tutto ciò, qualcuno dev’essersi accorto che da circa 20 anni, il capitalismo nostrano non si mostra neppure più interessato a produrre illusioni di un certo respiro di fronte ad una platea di proletari sempre crescente cui la realtà offre sempre meno speranze circa il proprio futuro. Così nella posta dei lettori del Corriere della Sera del 15 luglio, un lettore esterna le sue angustie chiedendo lumi ad Aldo Cazzullo, una tra le firme più celebri del panorama ideologico borghese nazionale. Il lettore, dopo aver pesantemente subìto la disillusione incarnata dalla narrazione circa il crollo dell’Urss, («senza più avversari», il capitalismo avrebbe dispensato benessere e virtù democratiche su scala globale... sarebbe troppo comodo confinare oggi questa misera e tragica truffa ideologica alle poche, tristi righe di un lettore spaesato, ben altri satrapi della pubblica opinione, ben altri condottieri delle ideologie prevalenti si sono adagiati, ingrassandosi, nella diffusione di questa illusione di massa) chiede a Cazzullo, nell’evidente tentativo di settare nuovamente la propria bussola ideologica: «riesce ad individuare dei periodi felici nel nostro passato recente, diciamo dalla fine del conflitto mondiale?». La risposta di Cazzullo è presto sintetizzabile: rispetto al presente, le generazioni che sono partite dalle macerie e dagli orrori del secondo conflitto mondiale hanno conosciuto una condizione di maggiore felicità, sperimentando gli effetti della ricostruzione, la crescita dei consumi, stili di vita di massa un tempo impensabili, i benefici di un prodigioso sviluppo tecnologico nella vita quotidiana, traguardi che invece oggi appaiono scontati. «Perché la felicità è andare dal meno al più, anche se si ha poco, e non andare dal più al meno, anche se si ha tanto». In sottordine, Cazzullo evoca gli anni Ottanta, per quanto «fatui, superficiali» (pudicamente la vittoria del mondiale di calcio è solo suggerita con la fatidica data: 1982).
Insomma, tra le varie lettere dei lettori, il Corriere della Sera ha selezionato quella di un disilluso in cerca di qualche nuova – vecchia illusione con cui sedare la propria paura del futuro dopo l’ennesima fregatura ideologica, per poi non riuscire nemmeno a vendergli qualche falsa speranza se non quella che si percepisce leggendo tra le righe: andare verso il peggio, contando semmai sulla felicità che si prova nell’eventuale risalita dopo aver toccato il fondo. C’è qualcosa di profondo, di sostanziale e che deve farci riflettere attentamente, in questa contemporanea difficoltà capitalistica a dispensare illusioni vaste, coinvolgenti, entusiasmanti come in passato. Sulle pagine di una delle maggiori testate della borghesia italiana, non si cerca neanche più di nascondere come, in fin dei conti, per la massa degli esseri umani, nel capitalismo infine trionfante in tutto il mondo, la “felicità” è possibile solo riemergendo dalle rovine, sopravvivendo alle guerre e alle crisi che ormai devono essere accettare come “normalità” di una condizione sociale senza alternative, o come superficiale euforia collettiva. Questo deficit nella produzione di illusioni non significa in nessun modo, negli agenti ideologici del capitalismo, consapevolezza delle sue contraddizioni e della necessità di superarle. Questo disincanto va di pari passo con la diffusione di altre ideologie, meno sfavillanti, più “pragmatiche” e “realiste”, ma sempre funzionali a consegnare il proletariato alla macchina dello sfruttamento e della guerra. Questa crisi della produzione e dello smercio delle ideologie della “felicità” borghese per i proletari non rende meno necessaria la lotta, l’impegno, per sviluppare e radicare la coscienza proletaria. Solo la coscienza della propria condizione reale, dei propri compiti storici reali, libererà la nostra classe dai pifferai magici della borghesia, ora tracotanti ed esultanti ora mesti e pensosi, ma sempre e comunque incaricati di guidare e persuadere i proletari alla sottomissione e al macello.