L’età dell’innocenza
Commentando l’incontro distensivo con il presidente francese Emmanuel Macron all’Eliseo, la premier Giorgia Meloni ha voluto ribadire stizzita come la politica estera si basi su criteri pragmatici, come richieda un’impostazione politica matura che superi letture retoriche e superficiali. Centrali sono gli «interessi delle nazioni», da perseguire con realismo e non tramite futili personalizzazioni (Corriere della Sera, 21 giugno).
La politica estera non può essere ridotta – spiega la premier – a baruffe e risentimenti infantili: «Non siamo ragazzini»! (la Repubblica, 21 giugno).
Quanta sobria consapevolezza della profondità delle dinamiche della politica internazionale, della loro complessità… quanta maturità politica nel rifiutare fermamente ogni cedimento a quelle sguaiate interpretazioni del confronto politico che non tengono conto dei rapporti di forza, di interessi che non possono essere ridotti a grezzi schematismi e contrapposizioni gonfie di virulenza ideologica ma disperatamente povere di serio contenuto politico… che alta lezione contro la pochezza della politica fatta di proclami tanto al chilo!
Eppure la premier, oggi così fieramente assorbita nel suo ruolo di leader consapevole della portata delle categorie della Politica al maiuscolo, in un recentissimo passato non ha disdegnato di ricorrere a ben altre formule, anche in tema di politica estera. Era a «ragazzini» che si rivolgeva quando, in campagna elettorale, affermava che in Europa «è finita la pacchia»?
Evidentemente c’è una politica matura, che rifugge sdegnosamente da slogan e beceri riduzionismi.
E poi c’è una politica su misura dei «ragazzini».
La prima è quella al servizio di sostanziosi interessi borghesi, che deve fornire bilanci del proprio operato ai grandi elettori (che vanno al sodo del proprio tornaconto di classe e che non si accontentano delle sceneggiate “identitarie” da campagna elettorale permanente).
La seconda è riservata alla massa proletaria degli elettori, nei confronti della quale, specie nella triste fase attuale della lotta di classe, non si è tenuti ad assumere concreti, verificabili, probanti impegni, ma a cui ci si può rivolgere – a caccia di consensi e voti – spacciando le più superficiali, inconsistenti, grossolane narrazioni ideologiche.
Agli elettori che contano, ai propri referenti borghesi non si può rifilare la politica da «ragazzini», non li si può trattare politicamente come «ragazzini».
Agli elettori che posseggono solo la propria forza lavoro e che, sul banco della rappresentanza politica nel quadro delle istituzioni e delle logiche elettorali e politiche borghesi, possono solo deporre la propria condizione di subalternità senza nemmeno la minacciosa dote di una coscienza e di una combattività di classe, possono bastare e avanzare i ragionamenti politici da «ragazzini».
Ogni politico borghese di un certo spessore lo sa e non prova certo imbarazzo a sdoppiarsi in due personalità: il composto e maturo statista, il frizzante dispensatore di favole politiche per politicamente infanti.
Solo la nostra classe, la sua lotta, la forte e diffusa riaffermazione della sua coscienza di classe potranno chiedere conto alla politica borghese di questa insultante doppia identità, di questa doppiezza di linguaggi e considerazione.
Solo la nostra classe, la sua raggiunta maturità politica, potrà costringere la politica borghese a rinunciare a urticanti toni paternalistici, a formule tagliate su misura di una avvilente minorità politica.
Solo la nostra classe, la sua lotta, la sua coscienza imporranno alla politica borghese di prendere atto che l’epoca del “popolo bambino” è davvero finita.
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