LORO E NOI - 26/05/2023
 
Virgolettato

«Le armi italiane salvano vite». Questo titolo, virgolettato e a caratteri cubitali, ad indicare il pensiero del presidente ucraino Zelensky e il senso della sua visita in Italia, è stato sparato in prima pagina da la Repubblica (14 maggio).
Dobbiamo evidentemente aggiornarci. Eravamo rimasti al ricorso alla retorica degli “italiani brava gente”, della peculiare bonarietà, della specifica carica umana del popolo italiano a sminuire e rimuovere i tratti feroci, le distruzioni, i massacri, le repressioni che hanno contrassegnato l’azione dell’imperialismo italiano, come quella di tutti gli imperialismi e di tutte le potenze coloniali. La ricerca storica ha da tempo fatto piazza pulita – sul piano di una onesta e documentata ricostruzione, di un dibattito serio e coerente – di questa subdola mitologia.
Non ci facevamo certo illusioni circa la spregiudicatezza con cui la stampa borghese può, all’occorrenza, ignorare anche questa lezione storica. Non ci aspettavamo però che oggi si potesse arrivare a sbandierare, con questa risonanza sulla stampa nazionale, la tesi che l’intrinseca bontà del popolo italiano (o dell’etnia italiana, espressione che oggi va di moda) si sia addirittura trasferita, riverberata sulle sue armi. Evidentemente in Italia la produzione e la vendita di fucili, proiettili, mitragliatrici, bombe, mine e pezzi di artiglieria è finalizzata a salvare vite, non a distruggerle. Quella che in altri Paesi è l’industria delle armi (o della difesa, per utilizzare un termine meno urtante), in Italia è quindi un’industria di pace e di vita. Pensavamo che la trita, superficiale, fasulla solfa dell’arma che diventa buona perché uccide i “cattivi” fosse attualmente, generalmente rigettata – per lo meno sulle pagine delle testate maggiori e con pretese di autorevolezza – quando si affrontano questioni della portata delle crisi internazionali, di complesse dinamiche storiche, di processi che investono intere società, che chiamano in causa immensi, contrapposti interessi economici e di potenza tra cui è puerile e ingannevole mettersi alla ricerca del potere “buono”.
Ci siamo sbagliati.
A questo si può arrivare. Ce lo ha dimostrato lo storico giornale della sinistra borghese italiana.
Conosciamo bene lo specifico, ipocrita moralismo di quest’area politica (che fa da controcanto alla greve, belluina demagogia della destra della scena politica del capitalismo italiano).
Sapevamo che la precarietà, la ricattabilità dei lavoratori, se promosse e sancite dalla destra, sono abominevoli regressi sociali, mentre se sostenute dai cenacoli della sinistra del regno del capitale, diventano invece sinonimo di modernità. Sapevamo che le cosiddette riforme delle pensioni – provvedimenti per rendere una pensione decente dopo una vita di lavoro un traguardo sempre più raro, distante e difficile – se attuate dalla destra sono attentati ai più sacri diritti del popolo lavoratore, se imposte dalla sinistra sono scelte pragmatiche e necessarie. Sapevamo che le intese per ricacciare i migranti negli inferni da cui cercano di fuggire, se siglate dalla destra sono insulti alla civiltà, se sottoscritte dalla sinistra sono segno di realismo e saggezza elettorale.
Oggi sappiamo che persino la celebrazione in prima pagina delle virtù degli armamenti tricolori accomuna la loro destra e la loro sinistra.