LORO E NOI - 10/05/2023
 
Poor Jack

«Hanno incoronato un re oggi, e ci sono stati gioia ed entusiasmo a non finire e una strabiliante orchestrazione di sciocchezze e futilità, e io mi ritrovo triste e perplesso».
Così scriveva Jack London nel 1902 quando, immersosi nei bassifondi della capitale dell’Impero britannico, stava lavorando a quel testo straordinario che sarà Il popolo dell’abisso. Commentando lo sfarzo, l’esibizione di ricchezza e quella che oggi definiremmo la risonanza mediatica dell’incoronazione di Edoardo VII, London aggiungeva che tutta questa enorme impalcatura del potere era possibile perché «l’East End di Londra, gli “East End” di tutta l’Inghilterra, sudano, sgobbano, agonizzano, muoiono».
Il giovane scrittore statunitense non poteva dissociare il lusso e la magnificenza dei reali britannici dalle condizioni di atroce indigenza, di spietato sfruttamento in cui versavano le classi povere e gli emarginati del mercato del lavoro nella società inglese. La magnificenza delle cerimonie della monarchia non gli faceva dimenticare gli orrori della società divisa in classi, anzi scorgeva nel rito del potere una feroce logica, un nesso terribile e indecente.
Oggi, evidentemente tutto è cambiato. Nulla più rimane di quelle contraddizioni se in prima pagina de La Stampa (7 maggio) l’incoronazione di re Carlo III è salutata come «l’orgoglio ritrovato degli inglesi» e se sulla prima pagina di la Repubblica (un nome che è una garanzia…) si inneggia ai numeri da record dell’audience e al «riscatto della monarchia».
Evidentemente il fasto di oggi non è più collegabile ad un parassitismo sociale vergognosamente ricco e vergognosamente fondato sul precariato della condizione lavorativa, sulla povertà e sulla più cruda divisione di classe. Evidentemente la Corona non ha più come prima la funzione di garantire istituzionalmente e simbolicamente la stabilità e la continuità di un ordine sociale imperniato sullo sfruttamento.
Povero Jack come sei superato. Come sono inattuali e smentite dai tempi nuovi le tue pagine di denuncia e di sdegno per la ricchezza esibita e le liturgie del parassitismo regale a spese delle sofferenze proletarie, dell’emarginazione sociale. Nel mondo nuovo del capitalismo alla ricchezza non corrisponde più la povertà, il potere non si basa più sull’asservimento, il capitale sullo sfruttamento.
Altrimenti come si spiegherebbe tanto entusiasmo?
Saremmo costretti a pensare solo ad una grave, feroce ignoranza delle leggi della società, ad una terribile cecità di fronte alla realtà storica o, peggio, ad una consapevole funzionalità rispetto ai meccanismi della perpetuazione dell’oppressione di classe.
Re Carlo è stato infine incoronato tra spade, manti di ermellino, scettri, accompagnato dalle preghiere, dagli inni e dalle benedizioni di legioni di ministri di culto. Ma a regnare veramente è sempre il capitale e anche la dinastia, con le sue rendite, i suoi investimenti, le sue proprietà borghesi, è un ingranaggio, lautamente remunerato, del sistema. Perché le “moderne favole” dei re e delle regine del capitale possano celebrare il loro lieto fine, il popolo dell’abisso deve essere calpestato. I proletari devono essere sfruttati, spremuti, licenziati, ingannati, deportati se risultano “irregolari”. Nel regno reale del capitale non ci sono palazzi incantati senza abissi.