LORO E NOI - 10/05/2023
 
L’identikit del “colpevole”

Nella sua indagine alla ricerca del responsabile sociale delle pessime condizioni salariali delle nuove generazioni di lavoratori, La Stampa dell’8 maggio a chi poteva affidare lo spazio per l’affondo in prima pagina se non all’ex ministra Elsa Fornero. Indimenticata esponente di quei “tecnici” al servizio del capitale che hanno dimostrato indubbie competenze nell’eliminazione dei “privilegi” dei lavoratori. Quando si hanno le spalle coperte dalla forza di determinate frazioni borghesi, si può mettere la propria firma a provvedimenti che condannano gli esodati ad una vita di stenti e di angoscia, e poi disinvoltamente continuare a pontificare in prima pagina. Così, nel suo editoriale, Elsa Fornero non si fa scrupoli ad utilizzare riferimenti retorici tesi a rimuovere la figura dell’agente del capitale dalla querelle, per poi focalizzare l’attenzione del lettore, con quanti più dettagli possibile, sul capro espiatorio: il lavoratore anziano, per lo più (e in quanto) beneficiario di garanzie conquistate in altre fasi storiche e nelle passate stagioni di lotta.
La Fornero spiega come negli ultimi 30 anni «abbiamo» (chi? Quali figure sociali?) ridotto il peso dei settori a più elevata produttività, per ripiegare su settori del terziario a minor produttività come il turismo e la ristorazione, dove il lavoro è «per sua natura più precario e meno remunerato» (ritorna il riferimento allo stato di natura, che, per definizione, sfugge alla determinazione umana e per ciò va accettato con serena rassegnazione). Ma – taglia corto la Fornero – «l’amara verità» è che la responsabilità della condizione d’affanno in cui si trovano “i giovani” (ovviamente tutti, dal cameriere sottopagato al figlio del ristoratore di grido), è da attribuirsi all’«egoismo delle generazioni cullatesi nell’illusione di una “spontanea” crescita continua» (la professoressa Fornero avrebbe solo da gettare uno sguardo sulla storia dei padroni della testata su cui sermoneggia per avere una dimostrazione da manuale di autentico egoismo di classe, ma evidentemente è più utile, quando si denuncia l’egoismo sui giornali della borghesia, rifugiarsi in un egoismo “generazionale”). Generazioni che hanno «investito l’ancora abbondante risparmio privato soprattutto nel patrimonio abitativo» (già un lavoratore salariato che risparmia è qualcosa che ai sacerdoti del capitale puzza di zolfo, se poi questi risparmi sono devoluti a costruirsi un tetto sulla testa, il fulmine della scomunica morale è immediato…), che hanno «beneficiato di pensioni anticipate elargite da politici ansiosi di attrarne i voti» (ecco qui, spiegata in una battuta, la vera matrice di classe di intere leve di esponenti della competizione elettorale e delle istituzioni in Italia, una classe politica votata a tutelare gli interessi degli elettori proletari, attraverso un voto di scambio da cui il padronato era evidentemente escluso…) e – quel che è peggio – che hanno «ottenuto, anche con l’ausilio del sindacato, salari crescenti sulla base della sola anzianità, anziché del merito e della produttività» (il cocktail dell’ideologia padronale non poteva dirsi certo completo senza una spruzzatina di meritocrazia, non sia mai che questa formula magica sia consegnata solo ai Valditara di turno…). A scanso di ogni equivoco sulla natura sociale del capro espiatorio, a questo eloquente articolo è abbinato un altrettanto eloquente grafico dal titolo “Uomo e fra i 55 e i 59 anni, l’identikit del lavoratore meglio pagato in Italia”, in cui spicca il gap retributivo di genere (quasi a colpevolizzare il lavoratore maschio se il datore di lavoro ha deciso di pagare meno la collega donna), e il cui picco massimo non supera comunque i 33.000 euro lordi annui (chissà se entro questo intollerabile limite rientrano anche i redditi dei vari “esperti” che sdottoreggiano sulle prime pagine dei giornali della grande borghesia?).
Se gli ideologi liberali e progressisti hanno individuato i salariati più anziani quale specchietto per le allodole verso il quale orientare il risentimento sociale del proletariato più giovane, se gli ideologi conservatori indirizzano i timori e le angosce dei lavoratori verso i proletari provenienti dalle aree più povere del pianeta, se la chiesa muove prudenti critiche al capitalismo, senza mai metterne in discussione le basi sociali e promettendo mondi immaginari in cui trovare la vera giustizia, noi marxisti indichiamo al proletariato di tutto il mondo, vecchio e giovane, senza alcun compromesso e senza alcuna esitazione, i suoi veri nemici, ossia i borghesi di tutto il mondo. Siano essi grandi o piccoli, vecchi e decrepiti titolari di imperi finanziari arroccati alle loro rendite di posizione o giovanissimi e dinamici imprenditori alle prese con le start-up tecnologiche. Siano impresari a capo di aziende rigurgitanti di plusvalore prodotto dal sudore operaio o seduti sulle più improduttive imprese parassitarie. Siano imprenditori illuminati di olivettiana memoria o scalcinati titolari di cooperative in subappalto sull’orlo della galera. Siano i moderni cultori della sostenibilità e della riconversione green o i più impenitenti inquinatori.