LORO E NOI - 17/04/2023
 
Nostalgia canaglia

Nella cronaca di Milano del Corriere della Sera di venerdì 7 aprile è stata pubblicata l’ennesima devota intervista a Mario Capanna.
Se la ben più giovane età dell’intervistatore del “grande timoniere” milanese del ‘68 e dintorni può giustificare una certa approssimazione nella ricostruzione di quel lontano clima politico – ma fino ad un certo punto, perché non da oggi è possibile verificare e confrontare con la realtà storica i ricordi selettivi di certi leader di allora, invece che abbeverarsi al loro mito – nessuna giustificazione possono avere certi “vuoti” di memoria di capi e capetti riconvertitisi in anziani e bonari dispensatori di favole a propria misura.
Nel minestrone del nostalgico leader sessantottino scompaiono le responsabilità politiche, le false prospettive, i dogmi passati, le cianfrusaglie ideologiche e le “perle” teoriche, che hanno contribuito a imbrigliare e inquinare l’ondata di energia espressa allora dalla classe.
La violenza dei sodali di Capanna è con notevole disinvoltura ricondotta unicamente all’episodio della “liberazione”, nel maggio 1970, di Piazza San Babila dalla cricca fascista (che per altro continuò a commettere aggressioni e omicidi ben oltre quella data, con troppa enfasi e autocompiacimento indicata come il momento di una definitiva resa dei conti). Evidentemente, tra una visita al figlio avvocato (il vecchio contestatore non manca di precisarlo, in fin dei conti anche l’ex leader movimentista «vuole il figlio dottore», per citare una celebre canzone dell’epoca) e una «rimpatriata» tra vecchi stalinisti, non ci vuole molto a dimenticarsi delle sprangate assestate ai comunisti veri, che non accettavano il verbo del «capo supremo del Movimento studentesco» e che hanno continuato a portare avanti un serio e oscuro impegno militante quando lui e i suoi adepti si tuffavano nel riflusso, alla ricerca di nuovi giochi di ruolo in cui reinventarsi. Tra i fumi delle libagioni delle rimpatriate è evidentemente facile che sfumi il ricordo delle ferite, degli agguati, delle vigliacche percosse ai danni di veri compagni che non accettavano i dogmi dei “piccoli padri”. L’ex leader supremo tiene infine a far sapere che «ci siamo soprattutto divertiti un casino» (un bilancio politico all’altezza del personaggio). Ci fa piacere, ma ora torni pure al suo buen retiro di imprenditore agricolo e lasci ad altri l’analisi e la comprensione degli accadimenti di quegli anni, senza miti e senza rimpianti.