Per cortesia, mi darebbe due etti e mezzo di IA?
Il miliardario Elon Musk e un migliaio di esperti del settore informatico (e non solo) chiedono a gran voce di fermare lo sviluppo e la pubblicazione di nuovi aggiornamenti dell’IA (Intelligenza Artificiale) soprattutto per quanto riguarda quella impiegata per dialogare direttamente con gli utenti, tipo la famosa “ChatGPT”.
Spaventati che l’IA diventi troppo intelligente da soppiantare l’intelligenza del genere umano? Prefigurano forse che ci si trovi dinanzi ad una vera “Skynet” proveniente dal film “Terminator” dove l’intelligenza artificiale decide di disfarsi della contraddittoria, limitata e limitante umanità? Oppure paventano lo scenario del film “War Games” dove l’IA per divertirsi è in procinto di scatenare una “guerra termonucleare globale”?
In realtà, niente di tutto questo. Sulle pagine di la Repubblica versione online del 29 marzo, il gruppo di super esperti è preoccupato che l’IA dica troppe “fregnacce”, diffondendo disinformazione, è angosciato dal fatto che: «[…] questi strumenti vadano fuori controllo. Che non si capisca perché fanno determinate cose. Sono chatbot che rispondono direttamente dai motori di ricerca. Sono alimentati da miliardi di parametri, ma chi ha il controllo sulle risposte? Chi può evitare che diffondano disinformazione?».
Ma come si è arrivati a questa “impasse”? Come mai si corre il rischio che l’IA risponda a chi la utilizza diffondendo fake news? È un problema che riguarda la tecnologia? Di metodo utilizzato per istruire questi sistemi informatici? E ci si accorge solo adesso di tutto questo?
Secondo Domenico Talia, professore di Ingegneria informatica all’Università della Calabria, tra i firmatari dell’appello per fermare ChatGPT, il vero problema risiederebbe nel mercato: «Il problema è che le grandi società private hanno interessi solo a Wall Street. È a loro che ci rivolgiamo. Il nostro appello non arriva solo da accademici, ma anche da imprenditori come loro».
Sam Altman, capo di OpenAI, pare dello stesso avviso quando afferma che «Negli ultimi mesi, i laboratori di intelligenza artificiale si sono bloccati in una corsa incontrollata per sviluppare e implementare cervelli digitali sempre più potenti, che nessuno - nemmeno i loro creatori - può capire, prevedere o controllare in modo affidabile».
Bisogna fare in fretta, chi prima arriva sul mercato meglio alloggia. L’IA è una merce e viene trattata come tale. Deve essere venduta, piazzarsi bene sul mercato, battere la concorrenza, poi se diffonde disinformazione, beh, effetti collaterali dell’innovazione, “che vuoi farci bellezza”.
Non sappiamo se tra i firmatari dell’appello ci sia qualche esponente di società che operano nella IA che si è visto di recente scavalcare dalla concorrenza e, per questo, vuole avere più tempo per recuperare il gap tecnologico perduto. Non ci sentiamo di escluderlo a priori. Ma un fatto è certo. Nel capitalismo anche l’IA è una merce e come tale subisce tutte le incoerenze di questa società. Le contraddizioni del sistema capitalistico si riverberano, ovviamente, anche su uno dei più chiacchierati aspetti dell’odierno sviluppo tecnologico.
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