LORO E NOI - 27/03/2023
 
La nostra storia, le loro battute

Su la Repubblica del 21 marzo, Gianni Riotta non ha trovato di meglio che definire il summit tra il presidente russo Vladimir Putin e il leader cinese Xi Jinping come «la Quinta Internazionale» (formula sparata anche come titolo del pezzo).
Lasciamo pure da parte il contenuto dell’articolo – l’ennesima riproposizione di un “noi e loro” tracciato lungo le perentorie linee di demarcazione tra bene e male, tra totalitarismo e democrazia, tra Occidente liberale e Oriente autoritario (immancabilmente aiutato da più o meno consapevoli quinte colonne annidate nelle pieghe delle democrazie) – è roba che ormai si trova in svendita in ogni anfratto del triste panorama mediatico italiano, merce ideologica complementare e speculare rispetto al farlocco furore populista alimentato e solleticato da altre componenti borghesi, data la sua innata virtù di convogliare tensioni e malesseri sociali lontani da pericolose consapevolezze di classe.
Limitiamoci a ricordare come la storia di quelle entità politiche che si chiamarono “Internazionale” – a prescindere dalle diatribe identitarie delle loro più recenti numerazioni – sia stata grande, tragica, dolorosa, ricca di dure lezioni e preziosi insegnamenti anche per l’oggi e il domani. È stata una storia che ha animato, nutrito, concentrato speranze ed energie proletarie, che ha spaventato le borghesie di ogni angolo di capitalismo, che si è snodata attraverso epocali confronti teorici, poderosi sforzi organizzativi, tensioni verso orizzonti rivoluzionari che abbracciavano il pianeta, repressioni spietate. “Internazionale” è stata una parola che è fiorita nei canti dei lavoratori che morivano in miniera, che piegavano la schiena nei campi altrui o che guardavano ad un mondo nuovo oltre la catena di montaggio e i sobborghi dormitorio in cui sua maestà il capitale li aveva confinati a vita. “Internazionale” è una parola che ha accompagnato la nascita del movimento operaio, le grandi realizzazioni e le illusioni dello sviluppo socialdemocratico, che è guizzata in mille idiomi nel fuoco del tentativo bolscevico di temprare una strategia per la rivoluzione proletaria mondiale. “Internazionale” è stata una parola magica che, dopo essere stata ripudiata dai sommi dirigenti dei grandi partiti socialisti nazionali, ha percorso le trincee dove la guerra imperialista aveva chiuso milioni di proletari ad ammazzarsi l’un l’altro. Questa parola è echeggiata nella lotta dei proletari contro il fascismo e gli interessi borghesi che lo sostenevano, è risuonata nei quartieri operai di Berlino assediati dalle milizie armate della reazione, ha attraversato campi di concentramento e camere di tortura. “Internazionale” è una parola che lo stalinismo ha puntualmente snaturato e spento, come logico accompagnamento del tradimento, del massacro di intere leve di operai coscienti e di militanti rivoluzionari. Questa parola è tornata a risuonare nei tentativi di sottrarre la grande lezione storica, i frutti più necessari dell’esperienza di classe, alla lunga notte del “socialismo reale”. È storia, immensa, aspra e difficile, della nostra classe e dei suoi militanti.
Evocare questa parola ad indicare le trattative, i mercanteggiamenti, i patti tra i capi politici di blocchi borghesi, di Stati imperialistici alle prese con gli andamenti e le traversie della contesa per la spartizione del mondo assoggettato alle leggi del capitale, non è un arguto gioco di parole, non è una sapiente trovata in equilibrio tra l’evocazione storica e la dotta provocazione politica. Non è solo l’ennesima formula in cerca di notorietà a buon prezzo.
È un insulto.
L’ignoranza storica, la superficialità politica, l’insipienza teorica possono forse spiegarlo.
Non giustificarlo.