LORO E NOI - 24/01/2023
 
Oibò

Di tanto in tanto, qualche giornalista italiano, più acuto rispetto alla media nazionale, riesce a cogliere degli aspetti interessanti. Massimo Gaggi, nell’articolo «L’“America First” di Biden», pubblicato il 16 gennaio 2023 sul Corriere della Sera, dà una scorsa ai rapporti economici intercorrenti tra le due sponde dell’Atlantico.
«Mentre la NATO contrasta, compatta, l’aggressione russa dell’Ucraina, soffiano venti di tempesta economica tra le due sponde dell’Atlantico: l’Europa ha scoperto solo di recente – e non ancora pienamente – le conseguenze della svolta di Biden che, per riorientare la sua industria verso lo sviluppo sostenibile ed evitare il sorpasso tecnologico della Cina dirigista, ha varato una politica industriale fatta di sussidi e incentivi imponenti, accantonando i principi del free trade».
Nello stesso giorno, l’edizione online de il Fatto Quotidiano si è soffermata sul caso, scoppiato in Germania, delle condizioni vessatorie che sarebbero in vigore nello stabilimento del gruppo statunitense Tesla aperto da pochi mesi nel Brandeburgo:
«“I lavoratori hanno iniziato a lavorare per Tesla con grande entusiasmo ma nel corso del tempo stiamo osservando però come questo stia svanendo”, ha dichiarato a Reuters Irene Schulz, rappresentante di IG Metall nella zona. Il quotidiano economico tedesco Handelsblatt scrive che politici locali, dall’Spd di centrosinistra alla Cdu di centrodestra, hanno espresso preoccupazione e chiesto indagini al governo locale».
I segnali e le conferme si moltiplicano, mostrando (con la sempiterna costernazione, la costante sorpresa, il periodico sgomento di chi non ha compreso, o non può comprendere, la profonda natura del capitalismo giunto ad essere forma sociale dominante a livello globale) limiti e fragilità di narrazioni in altri momenti presentate e celebrate come realtà di fatto indiscutibili, come concretizzazioni inappellabili di un senso della Storia che non ammetteva repliche. Quella che dovrebbe essere la grande unione delle democrazie contrapposta ai regimi autoritari dell’Eurasia è anch’essa attraversata – essendo anch’essa innervata dal modo di produzione capitalistico e plasmata da interessi imperialistici in competizione – da contrapposizioni, rivalità, attriti più o meno palesi e intensi (e persino la guerra in Ucraina, raffigurata come scontro epocale, fatidica linea divisoria tra Stato di diritto e Imperi, si nutre in realtà anche di divergenze e contrastanti prospettive di attori inseriti nel campo dell’Occidente liberale). Le stagioni liberiste, protezioniste, globaliste, interventiste e dirigiste si alternano e si avvicendano non sulla base della scoperta (o della riscoperta) della loro conformità ad un ideale di capitalismo, sempre uguale a sé stesso. Ma in base ai movimenti profondi dell’ineguale sviluppo del capitalismo, della competizione capitalistica, del delinearsi dei rapporti di forza sul mercato globale e tra le potenze chiamate a rappresentare gli interessi delle borghesie impegnate nella continua spartizione di mercati e plusvalore.
Non possiamo stabilire i tempi esatti del prodursi su larga scala – oltre i confini della guerra permanente condotta sul terreno della competizione economica più o meno condizionata dall’azione politica, delle guerre guerreggiate ancora circoscritte e senza l’urto diretto delle maggiori metropoli imperialistiche – dei conflitti che la natura del capitalismo inevitabilmente contiene, sviluppa e partorisce. Ma i presupposti, le avvisaglie, le anticipazioni, sono chiaramente percepibili. Sappiamo anche che la stessa condizione proletaria, le sue criticità e le sue sofferenze saranno come d’incanto “scoperte” dalle borghesie nazionali (in altri momenti e su altri piani disponibilissime a sancire e a benedire lo sfruttamento operaio, la più dura sottomissione di classe), per essere strumentalmente (e selettivamente) impugnate per compattare il fronte interno contro il nemico imperialista del proprio imperialismo. A fronte del delinearsi delle enormi conflagrazioni che il capitalismo sta preparando, l’autonomia politica di classe per cui, già oggi, dobbiamo assiduamente e tenacemente lavorare, diventa una questione di vita o di morte per il proletariato internazionale e – se pensiamo ai livelli di distruzione a cui le guerre dell’imperialismo possono spingersi – per l’intera umanità.