Non belligeranza che vale oro
«Massima trasparenza». Afferma Massimo D’Alema.
In un’intervista al Corriere della Sera (18 dicembre), l’ex premier e ministro degli Esteri, già dirigente del PCI segretario del Pds e dei Ds, figura simbolo di una stagione del centro-sinistra italiano, ha voluto rimarcare le distanze tra le sue attività e le vicende di corruzione che hanno investito il Parlamento europeo e in primis le sue componenti di sinistra.
I “belli” di Bruxelles (la vicepresidente del Parlamento e il suo compagno, assistente di vari eurodeputati, en passant fondatori di una società immobiliare in un quartiere alla moda, riporta sempre il Corriere), il sindacalista di lungo corso (insediatosi in un «lussuoso residence di Bruxelles») e le loro consorterie sono accusati di aver intascato sostanziose bustarelle da Paesi come il Qatar e il Marocco.
È uno spettacolo a suo modo politicamente istruttivo vedere la sinistra “moderna”, “pragmatica”, “vincente”, “amica del mercato”, paladina dei diritti e dell’Europa soavemente confinati in un limbo illuminista e liberale incontaminato dai prosaici problemi di chi vive di salario e deve faticare per arrivare a fine mese (per non offendere la delicata sensibilità di questa “nuova” sinistra abbiamo evitato di insistere su parole “vecchie” e urtanti come classe…), arrabattarsi tra trolley gonfi di soldi e vacanze da 100mila euro, che sarebbero il prezzo per riverniciare, dall’alto delle sacre istituzioni della democrazia europea, la reputazione delle borghesie finanziatrici in tema di diritti dei loro sudditi e sottoposti più poveri e sfruttati, proletari e migranti in primis (secondo stime riportate sempre dal Corriere, sarebbero state 6.500 le morti sul lavoro nei cantieri per i mondiali di calcio). La sintesi degli obiettivi della rete di contatti mossa da Antonio Panzeri, ex segretario della Camera del Lavoro di Milano ed ex parlamentare europeo, al centro delle indagini, è fornita da la Repubblica (11 dicembre), giornale non certo sospettabile di preconcetta avversità alla sinistra europeista, liberal, depurata da contaminazioni classiste (a meno che non provengano dall’alto…): «Ottenere una dichiarazione non belligerante del sindacato europeo alla vigilia dei mondiali di calcio che hanno, proprio, nella mancata tutela dei diritti dei lavoratori il principale oggetto di critica, per il Qatar valeva oro».
Ma D’Alema non ci sta ad essere messo nello stesso calderone, le sue attività sono perfettamente legali e trasparenti: ha istituito una società, «collaboro con società internazionali, presento bilanci», si è impegnato in affari con la Colombia («ho dato una mano a un imprenditore con una qualche imprudenza, lo ammetto»), ha dato «un consiglio» a «una cordata di investitori internazionali» per acquisire una raffineria. E poi – ricorda l’ex capo del Governo che partecipò ai bombardamenti in Serbia sotto le insegne Nato – «in tutti i Paesi del mondo ci sono persone che hanno avuto un ruolo istituzionale e che poi continuano a dare un contributo utilizzando le loro competenze al servizio dello sviluppo economico». Senza dimenticare che «se poi si decide il principio che non si possono accettare investimenti che provengono da Paesi non democratici» bisognerebbe per coerenza «smontare circa la metà dell’economia italiana e anche un bel pezzo del campionato italiano». La chiosa è tonante: «Questo è il festival dell’ipocrisia».
Che la faccenda delle tangenti che avrebbero rimpinzato i privati bilanci di una cerchia non irrilevante di eurodeputati (che, si è scoperto nelle attuali cronache, tendono generalmente ad alimentare il nobile fuoco della politica europea con attività imprenditoriali legate alle «loro competenze al servizio dello sviluppo economico») sia presentata, soprattutto in Italia, con dosi massicce di moralismo e di ottuso legalitarismo non è né un mistero né una novità (la stagione di mani pulite rappresentò un’anteprima trionfale di questa rappresentazione di massa, di questa percezione collettiva di dinamiche che invece chiamavano in causa relazioni profonde ed equilibri importanti di assetti capitalistici, di logiche sistemiche del potere borghese).
Ma a noi non interessa il crucifige contro i singoli esponenti politici della borghesia (lapidazioni mediatiche spesso orchestrate da altri esponenti di altre frazioni borghesi, in attesa che il fango dell’inevitabile corruzione capitalistica si mostri anche sulle loro toghe di uomini pubblici, sempre pronte ad un nuovo, robusto lavaggio). Né ci preme vigilare sul confine tra legale e illegale (in base ai codici degli Stati chiamati a tutelare il dominio borghese) nei meccanismi di controllo e influenza del potere economico sulla sfera politica.
Il dato che ci appare come molto più importante è squisitamente politico: l’ennesima dimostrazione dell’abbondanza, della forza, della varietà dei processi, degli strumenti con cui la classe dominante integra, assorbe, fidelizza, funzionalizza ai propri interessi le componenti politiche impegnate e selezionate nel gioco elettorale e democratico. Talvolta sono meccanismi e strumenti legali, altre volte illegali. La sostanza di classe non cambia.
Tempi bui, quindi, per la rappresentanza di sinistra della borghesia italiana. Clima decisamente più pimpante sull’altro versante dello spettro politico capitalistico. Finita la campagna elettorale, la premier Giorgia Meloni ha dismesso agilmente gli abiti dell’underdog, dell’outsider, della nemica delle élite e delle caste politiche (fieramente parte dell’Italia popolare ed estranea ai giri di potere ma nominata ministro già nel 2008, il più giovane ministro nella storia dell’Italia repubblicana…), rinviato ad altri momenti i rudi panni della Giovanna d’Arco della destra sedicente sociale. L’edizione online di Vanity Fair (7 dicembre) ha voluto rendere omaggio alla sua eleganza alla prima della Scala («i protagonisti dell’evento – ci ricorda la celebre rivista di moda e fashion – sono anche e soprattutto i look degli illustri ospiti», le «mise dall’allure ultra chic di oggi che invadono il foyer quest’anno»). Subito una novità: a dominare non è il total black, «ma una tonalità altrettanto misteriosa ma anche carica di speranza, il blu notte». Ed è in questo colore che ha fatto la sua comparsa la premier: «luminosa in un longdress firmato Giorgio Armani dallo scollo incrociato accompagnato da una mantella ton sur ton a coprire le spalle». La classe non è acqua e quando poi la classe è sostenuta dal potere economico e politico della classe dominante, nella favoletta della ragazzina che scala i palazzi del potere partendo dal quartiere popolare (le cui radici mai e poi mai reciderà…) non è previsto nemmeno il rischio che la carrozza ritorni zucca a mezzanotte. Va ricordato, in tema di variazione dei toni, che in questa occasione di «mondanità allo stato puro», in cui si riunisce il «gotha di politica, danza, spettacolo e moda per dar vita a una notte magica» (la prosa non va molto per il sottile…), era presente anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, «elegantissima in abito lungo, blu brillante per lei, dal corpetto tempestato di lustrini». La nemica sovranista dei poteri forti di Bruxelles e la presidente della Commissione europea si dividono, blu notte per l’una (tonalità carica di speranza…), blu brillante per l’altra. Solo animi grettamente materialisti e ignari del bello possono sottostimare la profondità di questa differenza. Intanto, agli operai, ai proletari dei quartieri popolari, che per permettersi l’abito blu notte di Armani dovrebbero rinunciare ad almeno una mesata, deve bastare il fiero proclama lanciato in campagna elettorale dalla Meloni, allora ancora orgogliosa plebea, contro la tirannia delle plutocrazie europee (sembra già un secolo fa): la pacchia è finita!
|