LORO E NOI - 22/12/2022
 
Meritocrazia

Nel dibattito – definiamolo così ormai per consuetudine – che attraversa il quadro politico del capitalismo italiano ha ripreso vigore il tema del “merito”. Prevedibilmente con toni e argomentazioni di livello imbarazzante e con un ricorso alla più trita e superficiale retorica. Si va dalla «grande alleanza per il merito» strombazzata dal ministro dell’Istruzione e – ça va sans dire – del Merito alle miserrime sentenze delle eterne marionette da zuffa televisiva, troppo impegnate a misurarsi intorno alle variazioni del “chi vola vale” per alzare lo sguardo alle immani, terribili contraddizioni di un sistema.

Ma di cosa stanno parlando tutti questi individui?
Quale è il demerito dei milioni di esseri umani che ogni giorno soffrono la fame?
Quale è il demerito dei soldati russi ed ucraini che sono macellati nell’attuale conflitto?
Quale è il merito dei tycoon e dei nuovi miliardari che si divertono coi viaggi spaziali?
Quale è il criterio che stabilisce merito e demerito sulla scala reale della società capitalistica?

Alcuni degli articoli della stampa di vari Paesi, raccolti dal settimanale Internazionale (11/17 novembre), concorrono a delineare un mondo in cui la scala dei costi umani dovuti alle logiche e ai “meriti” capitalistici rende ferocemente ridicola ogni diatriba sul singolo ricco e potente perché meritevole o povero e calpestato perché immeritevole.
La guerra in Etiopia, tra il Governo etiope e i ribelli del Tigrai, è costata la vita a mezzo milione di persone, ha causato 3 milioni di profughi e costretto 5 milioni di etiopi sull’orlo della fame. Se lo sono meritato? È l’esito dei loro demeriti?
Sono 7,8 milioni gli abitanti della Somalia a rischio fame e oltre 210mila necessitano di urgenti aiuti alimentari. Se lo sono voluto?
Una unità dell’esercito russo ha reso pubblica una lettera aperta: nel giro di quattro giorni la brigata avrebbe perso oltre 300 soldati tra morti, feriti e prigionieri. Questi esseri umani si meritano di diventare “carne da cannone”?
Nel settore tecnologico statunitense sono state annunciate colossali ondate di licenziamenti (nel 2022 sarebbero stati già licenziati oltre 50mila lavoratori del settore). Demerito di questi lavoratori se sono diventati superflui per il capitale?
Intanto, i maggiori produttori di petrolio al mondo registrano incrementi vertiginosi dei profitti.
Saudi Aramco ha ottenuto il suo secondo più alto livello di profitti in un trimestre da quando le sue azioni sono quotate in borsa (2019), con un utile netto di 42,4 miliardi di dollari. BP ha più che raddoppiato i suoi guadagni, indirizzandosi verso una delle più redditizie annate della sua storia. Profitti record anche per ExxonMobil, Shell e Chevron (Financial Times, 2 novembre). Quanti e quali meriti devono aver mai conseguito questi colossi capitalistici e i loro manager per incassare queste montagne di denaro…mentre milioni di esseri umani stentano a sopravvivere. Il dibattito sulla “meritocrazia”, affidato alla manovalanza ideologica del capitale, non può avere la coerenza, l’onestà intellettuale, la forza politica per affrontare il dramma di massa di chi è semplicemente escluso, eliminato alla radice da ogni corsa al “merito”, di tutte le potenzialità a cui è negata sistematicamente ogni possibilità di esprimersi. Nelle opposte retoriche della competizione borghese e di un riformismo “meritocratico” senza più linfa non ha posto lo scandalo capitalistico delle innumerevoli intelligenze spente nei campi profughi, delle umane energie stroncate dalle guerre, delle capacità soffocate perché non ritenute utili e profittevoli per sua santità il mercato. Tutte ricchezze umane a cui l’umanità, schiava del capitale, non può che rinunciare, non può che sperperare nei modi più vergognosi e brutali. Di fronte a queste epocali contraddizioni, a queste sistemiche negazioni dell’umanità e delle sue migliori energie, si interroghino pure, i cantori stipendiati del capitale e i loro servi sciocchi, sui meriti di Tizio e i demeriti di Caio, sullo sfruttato per colpe proprie o sul self-made man che si è guadagnato il “diritto” di sfruttare.
Noi che siamo pervenuti al concetto e all’analisi di classe, che sposiamo la prospettiva emancipatrice della lotta di classe della classe sfruttata, non dobbiamo, non possiamo e tanto meno vogliamo porci in mezzo a questa diatriba tutta interna alla classe dominante e alle sue truffe ideologiche. Se c’è un merito è quello che ha la nostra classe: quello di essere l’unico soggetto che possa far uscire l’umanità dal pantano sanguinoso e disumanizzante che è il capitalismo.