LORO E NOI - 28/10/2022
 
Animali

Nel ciclo cardiaco di sistole e diastole, che caratterizza la forma politica dello Stato federale nei rapporti appunto tra questo e gli Stati federati, a volte si verificano fenomeni curiosi e dai tratti apparentemente addirittura farseschi, che però possono comportare importanti risvolti.
La riflessione è sorta spontanea dopo la lettura di un corsivo apparso sul Corriere della Sera (13 ottobre), a firma di Massimo Gaggi, in cui si commentava la Proposition 12 ovvero la norma californiana derivante dall’esito di un referendum tenutosi nello Stato e riguardante il divieto di vendere carne di maiale nel caso in cui gli animali non siano allevati garantendo ad essi la disponibilità di almeno 24 piedi quadri, cioè 2,2 mq a testa.
Non ci dilunghiamo sull’ipocrisia delle battaglie borghesi sul rispetto degli animali, basti ricordare le ondate di licenziamenti che nella democratica California si succedono nella Silicon Valley al minimo segno di discesa del valore azionario delle Big Tech o gli incendi devastanti (tanto per restare in tema di tutela della natura) dovuti all’incuria capitalistica nei confronti dell’equilibrio ambientale. Piacerebbe sapere però cosa pensano i promotori della Proposition 12 riguardo alle condizioni di lavoro delle tribù di operai camperisti che si trasferiscono tra le varie sedi Amazon, inseguendo i picchi di lavoro dovuti alle ricorrenze festive, che al di là delle feste comandate, si succedono negli USA. O apprendere dai legislatori dello Stato progressista per antonomasia, tra tutti quelli che compongono la democrazia a stelle e strisce, le ragioni per cui i diritti ad uno spazio abitativo decente possono essere riconosciuti per legge ai maiali di allevamento ma non agli esseri umani che continuano a vivere di stenti accampati sulla costa californiana.
Ma, tornando all’inizio, la questione è giuridicamente più sottile e politicamente più complessa di quanto a prima vista potrebbe apparire. La California consuma il 13% della carne di maiale americana ma ne produce solo l’1%. Evidente è l’impatto economico che graverebbe sui produttori di altri Stati per l’adeguamento impiantistico dovuto all’incremento degli spazi, la valutazione è che il settore dovrebbe spendere circa 300 milioni di dollari e che addirittura il prezzo del bacon salirebbe di un 10% per tutti gli americani (ricordate il gustoso film di John Landis “Una poltrona per due”? Dove la scalata del reietto comincia proprio dopo una azzeccata valutazione sui prezzi della pancetta di maiale).
Le implicazioni della questione vanno però a toccare problematiche e tensioni che superano di gran lunga il tema del benessere dei suini e persino quello dei profitti dell’industria del settore, al punto che è stata chiamata in causa la Corte Suprema (vige un principio costituzionale in base al quale una legge di un singolo Stato non può limitare significativamente il libero scambio di beni e servizi tra gli Stati stessi dell’Unione). Gaggi evoca «lo spettro della balcanizzazione»: Stati guidati da democratici e Stati a guida repubblicana che si combattono a colpi di leggi restrittive della circolazione di merci, condizionandola al rispetto dei valori che rispettivamente sostengono o respingono (ad esempio l’ammissione esclusivamente di merci prodotte da manodopera sindacalizzata o viceversa).
Al di là di quello che sarà il responso dei giudici della Corte suprema, oltre gli sviluppi della «guerra dei maiali» all’interno delle fasi di sistole e diastole del sistema federale che riveste l’imperialismo statunitense, su un punto si può fin da ora essere certi: il riconoscimento e la tutela della basilare necessità di oppressione e sfruttamento da parte del capitale sicuramente metterà d’accordo magistrati, governatori, presidenti, senatori e quanti altri rappresentano lo Stato. Sul benessere dei maiali, sul suo costo, si può, all’interno delle istituzioni poste a difesa del capitalismo, dibattere e persino dividersi in maniera sostanziale, non sulla conservazione della sottomissione della nostra classe a quello che Jack London definì il «tallone di ferro».
Ma non possiamo attenderci questa semplice verità né dalle sentenze delle supreme corti né dalle rubriche del Corriere…