Post festum
Pur nel turbinoso scorrere degli eventi, che in questo scorcio storico vengono raccontati sempre come definitivi salvo poi essere sostituiti all’istante da quello successivo, ogni tanto qualche cantore delle virtù borghesi deve alzare brevemente la torcia per illuminarne la giusta interpretazione ideologica e ricordarne gli esempi passati, necessari al corrente bisogno.
Lunedì 19 settembre il Corriere della Sera ha pubblicato un “ritratto d’autore”, a firma del corsivista Massimo Gramellini, riguardante il compianto (dalla borghesia) Sergio Marchionne. Nel corso dell’articolo si “svela” (oltre alle solite critiche, puntualmente post festum, alle «storture» del capitalismo e all’«avidità» dei capitalisti) come l’agente del capitale, al cui nome sono riconducibili alcuni dei più incisivi colpi inferti in Italia alla nostra classe nel recente passato, fosse stato favorevolmente colpito, fino a provarne molta simpatia, dall’allora segretario della FIOM, Maurizio Landini.
Mercoledì 21 settembre s’alza il controcanto, sullo stesso quotidiano si lascia la parola al “rivale” del defunto manager, approdato nel frattempo alla segreteria generale della CGIL.
La pochezza dello spettacolo dei due fiorettisti che si esibiscono in riconoscimenti, confidenze e rievocazioni, sicuri di non far male l’uno all’altro, può stupire solo chi non ha ancora compreso il livello di subalternità, se non di piena integrazione, delle burocrazie confederali rispetto alle logiche e alle dinamiche del mondo borghese, dei suoi valori, dei suoi poteri, delle sue istituzioni.
Degno di nota è comunque il passaggio in cui Landini tratta del colpo di Pomigliano e Mirafiori: «Lui sapeva che, in realtà, quei due referendum non li aveva vinti, né nelle fabbriche né nel Paese. Aveva avuto un consenso nettamente inferiore a quello che sperava, nonostante quelle consultazioni fossero condizionate dal ricatto: o dici di sì o perdi il lavoro». Ciò in risposta alla domanda che si poneva Marchionne sul perché Landini godesse di così tanta popolarità mentre lui stesse «sulle palle a tutti».
Insomma, i “cattivi” hanno ancora una volta vinto, nonostante fossero antipatici e persino a corto di credenziali democratiche. Ma i “buoni” (virgolette a maggior ragione d’obbligo) perché hanno perso nonostante i consensi e il presunto capitale di simpatia di cui godevano? Che azione hanno realmente messo in campo a contrasto dei piani ricattatori della controparte? Il vittimismo, il trito e scadente romanticismo della bella sconfitta dei troppo buoni per il mondo troppo cattivo nasconde in realtà l’assenza di un autentico bilancio della funzione svolta da queste organizzazioni sindacali, delle prassi divenute ormai per loro abituali, dei tratti distintivi che le loro dirigenze hanno sempre più nitidamente assunto. Decenni ormai di pratica concertativa, di sudditanza alla sfera politica borghese, di abbandono di una appena appena decente difesa di classe, di ogni compito di organizzazione e di tutela degli autonomi interessi del proletariato, hanno spianato la strada alle vittorie dei ricatti padronali. Lo ha dimostrato il “colpo” di Pomigliano messo a segno dalla Fiat (con un assordante coro, poi tranquillamente svanito senza alcun imbarazzo ed esigenza di rendiconto, di scribacchini, mezzibusti, politicanti e sindacalisti super-moderni e iper-responsabili a sostegno dell’interesse nazionale incarnato dallo storico gruppo automobilistico), lo dimostrerà il Jobs Act, confezionato dall’immancabile Governo “amico” con un’opposizione confederale tanto scandalosamente blanda quanto sapientemente trattenuta. Che siffatto profilo di leader sindacale possa risultare «molto simpatico» ai condottieri del fronte padronale non ci sorprende. Ci sorprende in verità un po’ che questi cultori della ragionevolezza della resa e della virtù del lamento possano continuare a pensare di contenere il loro crollo di credibilità e di rappresentatività presso la classe lavoratrice, a maggior ragione nei tempi che si prospettano, perpetuando i criteri e i comportamenti che li hanno contraddistinti e sempre più squalificati.
P.S. sempre il 21 settembre una pubblicità a pagina intera ci informa che diverrà disponibile una serie televisiva imperniata nientepopodimeno che su Wanna Marchi. Non c’è che dire, ogni possibile argomento è utilizzato per alimentare la grancassa dell’ideologia corrente. Tanto i nobili rampolli (la nobiltà sancita ex post dall’affermazione sociale e dalla rispettabilità borghese) quanto i figli meno presentabili di sua maestà il capitale possono trovare il proprio spazio, magari circonfuso dal fascino di una vitalità cialtrona, nell’immaginario comunque vincente della società della merce.
Tempo al tempo e ogni virtù borghese, anche quella principe della truffa, incontra la propria epica. Non senza ombre, certo. Ma il vero oblio, la vera assenza di parola è riservata solo al proletariato e alle sue sofferenze. |