Una torrida estate ... per il proletariato
Anche l’eccessivo caldo estivo nella società divisa in classi non può considerarsi un fenomeno neutro che colpisce allo stesso modo le varie componenti sociali. Il proletariato italiano sta vivendo un’estate complicata a causa delle alte temperature che in molti settori aggravano, ancora di più, le difficili condizioni occupazionali esistenti. L’edizione online del Corriere della Sera (10 agosto 2022, «Lavorare al tempo del climate change: troppo caldo in fabbrica e nei campi, aumentano le vittime») sostiene che in Italia si verificano, ogni anno, circa 4 mila incidenti sul lavoro correlabili alle alte temperature in fabbriche, campagne o uffici. Le conseguenze delle temperature elevate in termini di patologie mediche sono impressionanti: comprendono aritmie, dermatiti, diminuzione dei riflessi, pericolosa per chi lavora con macchinari o guida veicoli, e malori. La maggioranza delle fabbriche metallurgiche, metalmeccaniche, siderurgiche e di stampaggio sono prive di climatizzazione, le mascherine e l’abbigliamento antinfortunistico, spesso necessario, aggravano ulteriormente la morsa del caldo. Non sono solo le realtà piccole ad avere meno a cuore l’impatto del «climate change» sulla classe, perfino le Carrozzerie di Mirafiori, di proprietà del colosso automobilistico Stellantis, sono recentemente divenute teatro di una protesta della Fiom contro i ritmi di lavoro troppo intensi che, con il caldo insopportabile, procurano estremi disagi alle lavoratrici e ai lavoratori. Sempre nella zona di Torino, il 22 luglio, denuncia la stessa Fiom, è morto per un malore un operaio alla Dana Graziano di Rivoli.
«In Italia il quadro di luglio è drammatico: 4 morti sul lavoro per il super caldo. Una circolare Inail raccomanda il ricorso alla cassa integrazione oltre i 35 gradi. Ma in Slovenia e Ungheria bastano medie superiori ai 27-28 gradi. Mentre la Francia non ha limiti (e conta più vittime). [...] Non sono soltanto i braccianti e gli operai edili, esposti a condizioni talora disumane a fronte di paghe irrisorie, a perire: nell’elenco dei caduti, trovano spazio anche i lavapiatti stagionali e i dipendenti delle fabbriche». La legislazione comunitaria in materia è anche su questo tema frammentaria e le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità considerano l’intervallo fra i 16°C–24°C la condizione ideale per lavorare; al di sopra di tali valori, stando alle stime dell’European Trade Unions, il rischio di infortuni sale del 5–7% (varcati i 30°C) e del 10–15% (per i 38°C). «Ai lavoratori belgi sottoposti ad uno sforzo fisico gravoso spetta il diritto ad operare in un ambiente non eccedente i 22 gradi centigradi, a quelli sloveni ed ungheresi vengono garantiti dei tetti rispettivamente pari a 27 e 28 gradi centigradi. E in Italia? Lo Stato, dal 2016 (circolare Inps n. 139/2016 ribadita a luglio 2022 dalle raccomandazioni dell’Inail), offre alle industrie la possibilità di ricorrere alla Cassa integrazione ordinaria soltanto in caso di temperature superiori ai 35°C (percepiti e/o reali). [...] Certo, va sempre meglio che in Iran dove, scrive il sito della Bbc, il Governo avrebbe concesso ai dipendenti pubblici soltanto la settimana scorsa – dopo settimane di caldo e tempeste di sabbia – di rimanere a casa a causa dei 50°C di temperatura».
Anche ad alte temperature non si placa l’ingordigia del capitale, anche ad alte temperature non si scuote l’indifferenza della politica borghese, alle prese con una nuova ma ripetitiva campagna elettorale, verso le condizioni di vita e di lavoro della classe subalterna, anche ad alte temperature la lotta di classe è l’unico strumento che i lavoratori hanno per potersi difendere.
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