L’amico dittatore
Nell’aprile 2021 lo definì, con impavido slancio a difesa dei valori democratici, «dittatore» (aggiungendo prudentemente, però, di non poter escludere di doverci fare affari).
Nel luglio 2022 rimangono solo gli affari. Anzi, affari conclusi con «l’“amico” da ringraziare per la “calorosa ospitalità”» (Avvenire, 6 luglio). C’è poco da dire, il premier Mario Draghi ha cambiato davvero tono nei confronti del presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
D’altronde, il vertice intergovernativo tenutosi ad Ankara di polpa ne ha maneggiata parecchia: giacimenti di gas e gasdotti, infrastrutture, situazione in Libia, lo sblocco dell’export di grano dai porti sul Mar Nero (uno dei versanti della crisi ucraina in cui Ankara spinge per rafforzare ulteriormente il proprio status internazionale).
Spiccano il dossier militare, con «la protezione delle informazioni classificate nell’industria della difesa» (Corriere della Sera, 6 luglio) in vista della collaborazione di Ankara ad un progetto italo-francese per un avanzato sistema missilistico (il tutto con un dittatore…), e quello dell’immigrazione, con un programma di scambio di personale tra le polizie dei due Paesi (la dittatura è un lontano ricordo…).
Insomma, il tecnico Draghi non ha davvero faticato molto per mettersi in sintonia con l’ormai secolare prassi della classe politica dell’imperialismo italiano, avvezza a cambiare schieramento con massima disinvoltura (sempre condannando gli alleati di ieri con le più severe espressioni e salutando ovviamente con i più commossi accenti i nemici del giorno prima), a rimangiarsi tranquillamente invettive e alleanze, a chiudere gli occhi sulle più feroci repressioni dei satrapi funzionali ai propri interessi, foraggiarli e legittimarli, salvo poi scaricarli quando le dinamiche internazionali si mettono in moto in senso contrario e arrivando poi, a cose fatte, persino a rimpiangerli (il caso Gheddafi insegna). Un impasto di fraseologia retorica, di pose che richiederebbero ben più salde fibre e convinzioni, di vittimismo e di servile scaltrezza, questo, salvo rare e in genere sfortunate eccezioni, è l’humus più profondo della classe politica borghese italiana. E il “Governo dei migliori” non fa eccezione.
Almeno, questi agenti e servitori della classe dominante, ci risparmiassero le sceneggiate, gli sdegni democratici, gli appelli al diritto dei popoli, le vibranti condanne in nome della civiltà.
Ma fanno parte delle regole del gioco, il loro gioco.
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