LORO E NOI - 11/06/2022
 
La fede mercatista e le sue furbe crisi

«Bei tempi, quando Luigi Einaudi alla vigilia degli accordi di Bretton Woods poteva scrivere che “libertà di scambi economici vuol dire pace”. L’abbiamo creduto per lunghi anni, e animati da giusta e solida fede mercatista abbiamo costruito la Ceca e il Mec, i Trattati di Maastricht e il Wto. “Dove passano le merci non passano gli eserciti”, era il primo comandamento della modernità occidentale, sovranazionale, multilaterale. Un principio che ci ha guidato a lungo e con successo per i tornanti accidentati della Storia, fino a farci illudere che a un certo punto la Storia stessa fosse finita. Come negli Anni Trenta toccò a un frustrato caporale boemo rompere il fragile incantesimo della pace di Versailles, stavolta tocca a un oscuro ex funzionario del Kgb sfasciare l’umile presepe del vecchio Ordine Mondiale. La guerra in Ucraina, oltre che di umani, fa strage di illusioni».
Così inizia l’editoriale di Massimo Giannini su La Stampa del 5 giugno.
Tanto ci sarebbe da dire (anche perché il direttore dello storico giornale di casa Fiat prosegue con una carrellata di strafalcioni storici sul significato sociale e la genesi della cosiddetta globalizzazione che, se affrontati uno per uno, ci costringerebbero ad una discesa agli inferi della più grossolana agiografia capitalistica), ma limitiamoci ad alcune domande che si impongono alla lettura di questo ambiguo mea culpa.
Come ha potuto la «giusta e solida fede mercatista» ignorare tutte le guerre del capitalismo scatenatisi dal 1951 (anno di fondazione della citata Ceca) in avanti?
Suez, Vietnam, Afghanistan, solo per evocare qualche luogo dei conflitti della seconda metà del XX secolo, erano guerre al di fuori o contro le leggi del mercato e del capitale?
Gli eserciti sono passati in Iraq, in Libano, nella ex Jugoslavia perché lì non passavano le merci?
Gli eserciti, le guerre con i loro immancabili orrori (a prescindere dal caporale di turno che ne sovrintende le operazioni) diventano visibili, reali, solo quando lambiscono l’Occidente (o persino solo un certo Occidente)?
Eppure anche negli anni della sbornia mercatista, della euforica fine della Storia e delle ideologie (furbastra espressione con cui in genere si faceva riferimento alla presunta morte solamente del pensiero critico marxista, truffaldinamente associata alla disgregazione dei carrozzoni del capitalismo di Stato spacciatisi per socialismo reale), qualche piccola, marginale, coraggiosa voce ha continuato a ribadire che il capitalismo non è antitetico alla guerra, anzi. Che la Storia, anche e soprattutto quella della lotta di classe e delle formazioni sociali, non poteva finire. Che i trionfi del capitalismo votato alla pacificazione mondiale erano trionfi essenzialmente di costruzioni, quelle sì, autenticamente ideologiche, già smentite, e smentite sempre più apertamente col tempo, dal reale procedere storico. Perché questi amari e nobili disillusi, questi reduci delle stragi delle illusioni di ieri, che piagnucolano oggi sulle macerie dei loro sogni di pace mondiale capitalistica, non hanno mai prestato ascolto a queste piccole voci, non hanno mai dato loro un minimo di credito? La risposta questa volta è facile. Erano troppo impegnati a sbeffeggiarle, ligi agli ordini di scuderia della loro frazione borghese di riferimento.
Ma oggi i loro mea culpa non contengono nemmeno una briciola di vero ripensamento sulle fondamenta del mondo che devono difendere per contratto, di ricerca autentica di un migliore metodo di studio e comprensione della contraddittoria realtà capitalistica. Si atteggiano solo a dolenti anime belle, troppo belle per il mondo cattivo, e con una mano si cospargono il capo di cenere mentre con l’altra non cessano di spacciare ai proletari menzogne, illusioni e inganni (e col piedino accantonano pietre per l’immancabile lapidazione di chi ha peccato di aver avuto troppa ragione troppo per tempo). Gli occasionali mea culpa servono solo a riverniciare la fede redditizia e imperitura nel capitalismo quale unico, indiscutibile, stato di natura per il genere umano. Non sarà certo la guerra in Ucraina – ennesima guerra partorita dalle dinamiche dell’imperialismo, fase suprema del capitalismo – ad incrinare questo loro dogma.