Della coerenza
Non c’è dubbio, il corsivista del Corrierone, Massimo Gramellini, possiede questa rara dote. Leggiamo da anni i suoi corsivi, fino all’emergenza sanitaria di due anni fa si poteva talvolta cogliere l’indignazione e l’arguzia con cui fustigava i rappresentanti politici dei vari partiti in Parlamento, che fossero il Grillo, il Cavaliere, la Sorella d’Italia, il Felpato e tutta la banda di accoliti di questi, senza dimenticare anche qualche affondo ad associazioni esterne al Parlamento, che mostrassero anche il minimo segno di distanza, di temporanea negligenza rispetto alle virtù di ragionevolezza, correttezza, civismo, sobrietà e compostezza dell’ideale “homo burgensis”. Come poi si traducano, nei fatti dell’effettiva vita sociale, queste virtù borghesi è questione che possiamo qui evitare di approfondire, prima di noi i giganti del marxismo ne hanno svelato l’intima ipocrisia, la funzione storica al servizio del perpetuarsi della dominazione di classe.
Il nostro, da quando il Covid ha fatto la sua apparizione, ha prima annusato l’aria e poi lestamente indirizzato i suoi strali verso chiunque non seguisse pedissequamente le direttive sanitarie governative, poi quando l’argomento cominciava ad essere stantio, la nuova occasione: l’evento bellico. E allora avanti, col gatto a nove code in una mano e i fulmini nell’altra, a colpire chi avanzasse dubbi nel cancellare ogni traccia della sempre più deprecata “complessità”. Avanti col “semplificare”, avanti col manicheismo più becero.
«Dopo che Michele Santoro e il ministro Lavrov (uno dei due è russo, ma non ricordo quale) avevano descritto i media italiani come megafoni della propaganda Nato» (Corriere della Sera, 4 maggio). «Adesso capita di imbattersi nei talk della tv russa, dove giornalisti sbruffoni discettano su quanti secondi impiegherebbe una testata nucleare a distruggere le capitali europee e scherzano sulla controtestata che calerebbe di lì a poco sulle loro teste giulive» (Corriere della Sera, 3 maggio). Suona la fanfara della guerra e il corsivista illuminato si mette sull’attenti: preoccupazioni di tutela dei binari del rigoroso rovello democratico, deontologie, modi e costumi del confronto civile del civilissimo Occidente volterriano, finiscono allegramente nel ripostiglio. In attesa di tempi più adeguati. Il giornalista rivale – rivale, peraltro, in quanto collocato in altra parrocchia della comune diocesi della stampa borghese – viene bollato con chiare allusioni di intelligenza col nemico. I «giornalisti sbruffoni» sono sempre e solo in casa d’altri e pazienza se di lugubri e inquietanti sbruffonate belliciste, della più greve retorica di guerra, delle più spudorate (ma utili alla causa) falsificazioni storiche abbondano anche i democratici e liberali giornali del capitalismo italico. Quando la consegna è negare la realtà di una guerra imperialista, reazionaria e borghese in tutti i suoi schieramenti, non si può andare troppo per il sottile. Quando l’imperativo è oscurare la realtà della differenza di classe che attraversa tutte le potenze coinvolte nel conflitto, demarcando buoni e cattivi lungo il crinale della nazione, non si può duellare di fioretto. In attesa che la guerra, che già ripartisce dolori, calcoli politici e arricchimenti, a seconda dell’appartenenza di classe, lasci il posto alle orge capitalistiche della ricostruzione, alle dinamiche del riassetto del quadro imperialistico, ai monumenti e alle bandiere multicolori con cui deviare e imbavagliare il dolore proletario, bisogna sgomitare per accomodarsi dalla “parte giusta della Storia”. Che per questi ideologi della borghesia non può che essere regolarmente la parte della propria borghesia di riferimento. Ma un elemento di continuità attraversa, con adamantina coerenza, tutte le fasi, da quella del dubbio post-moderno alla rinnovata e inderogabile campagna dell’oro per la Patria (che sia quella degli imperialismi campioni di democrazia e di diritto, e maestri di sfruttamento, o che sia la Santa Madre Russia, riproposta con non minore impudicizia all’adorazione dei nostalgici della “prigione dei popoli” zarista e stalinista): nella prima emergenza si spedisce la nostra classe a farsi sfruttare senza protezioni o poi fornendone di farlocche, e nella seconda, a farsi macellare nella guerra dei padroni (nell’attesa, indottrinandola alla bisogna). Quando suona il gong della mobilitazione per gli interessi supremi della classe dominante, i vezzi illuministi e super-democratici di un attimo prima lasciano il posto al richiamo della foresta e già in passato la nostra classe ha sperimentato più volte come la gatta borghese diventi tigre quando se ne mettono in dubbio gli ordini essenziali e le fondamentali prerogative. Teniamo presente come agisce, come marcia, come si dispiega la macchina propagandistica della borghesia, di quali orride mute è capace e, se qualcuno potesse ancora nutrire dubbi su quello che ci aspetterà ancora di più nel futuro delle guerre imperialistiche, tenga ben presente con quale spietata disinvoltura i pennivendoli del capitale riescono a cucire i fatti con l’ideologia dominante e con quale carnefice solerzia li cucinano per darceli in pasto.
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