«Peccato davvero…»
Nella sua «seconda discesa in campo» (la prima è datata 1994, l’imprenditore che si vantava di essere “prestato” alla politica ha evidentemente optato per un prestito a lungo termine), Silvio Berlusconi ha infine affrontato la questione della guerra in Ucraina e dei propri trascorsi di amichevole frequentazione del presidente russo Putin: «L’ho conosciuto 20 anni fa, mi era apparso un uomo di buonsenso, di democrazia, di pace. Peccato davvero...» (Corriere della Sera, 10 aprile).
All’alba del 2022, il quattro volte presidente del Consiglio e leader indiscusso di Forza Italia Silvio Berlusconi scopre che Putin non è esattamente un uomo di pace. Si potrebbe obiettare che, in vent’anni, Berlusconi ha potuto osservare, costantemente da posizioni di elevata responsabilità politica e istituzionale, la seconda guerra cecena, gli ostaggi gasati al teatro Dubrovka, i giornalisti scomodi e gli oppositori perseguitati e ammazzati, la guerra in Georgia, gli interventi militari in Siria e via guerreggiando e reprimendo. Ma il vero imbroglio non risiede nel giudizio sul singolo capo di Stato, nella specifica valutazione del singolo potente. È nel ricondurre a questa dimensione individuale, personalizzata, le guerre, le contraddizioni e gli orrori di un sistema. La disoccupazione e la povertà non derivano, come fenomeno sociale, dalla malvagità o dall’insensibilità di singoli capitalisti. Le differenze di classe, le contraddizioni di classe, delle forze produttive costrette
entro specifici rapporti di produzione, sono inscritte, nel tempo presente, nel modo di produzione capitalistico. La guerra non è un fenomeno storico ascrivibile alla crudeltà o alla pazzia dei leader. Troppo facile e troppo falso concludere che l’Ucraina è stata posta al centro di una guerra solo dalla follia sanguinaria del leader del Cremlino. Sono le dinamiche, le forze profonde del sistema imperialistico globale ad aver alimentato tensioni, ad aver avviluppato nodi e antagonismi che oggi sono affrontati sul piano militare nello spazio ucraino. Non è semplicemente la cecità delle massime dirigenze politiche statunitensi ad aver posto improvvidamente, nel corso di decenni, sotto assedio il ferito e rancoroso imperialismo russo, ponendo così le basi per una conflittualità altrimenti evitabile. È il gioco, drammatico e gravido di violenza, dell’ineguale sviluppo capitalistico, delle spinte costanti al ridisegno di assetti e spartizioni. È l’ingovernabile corso storico di una
formazione sociale che conosce come unico imperativo assoluto il perseguimento del profitto, la conquista del mercato, la supremazia borghese. È questo corso a produrre gli oligarchi, russi e ucraini, dalle mani grondanti sangue, i vertici politici in guerra e collegati con mille fili alle centrali delle grandi potenze, non il contrario. La guerra in Ucraina è una guerra imperialista, un prodotto dell’imperialismo, della dinamica spartitoria che si manifesta con le “pacifiche” rapine di settori economici, con il “normale” asservimento di intere realtà sociali alla forza di colossali agglomerati capitalistici e con le palesi aggressioni militari. La parabola stessa di figure come Berlusconi e come il suo ex amico Putin, dei patriottici borghesi ucraini con i loro padrini e sponsor imperialisti, testimonia come molti, troppi, proletari credano ancora di potere sfuggire agli orrori del capitalismo, dell’imperialismo, affidandosi al padrone “buono”.
Molti, troppi sono disposti a sacrificarsi e persino a morire nel nome dei padroni “buoni” e dei loro Stati.
Troppe energie della nostra classe, che potrebbero alimentare una grande, risolutiva lotta contro il capitalismo, si consumano in questa illusione, nella pace sfruttatrice e nella guerra sterminatrice del capitalismo.
Questo è il vero, terribile peccato.
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