LORO E NOI - 17/04/2022
 

E adesso, pover’uomo?

 

Su il manifesto del 6 aprile, l’ex presidente della Regione Toscana Enrico Rossi (Pd) non esita a misurarsi con tematiche come la guerra in Ucraina e l’atteggiamento assunto dal proprio partito.
I toni sono quelli del custode della purezza di una sinistra che sta tradendo le proprie radici: «L’aumento delle spese militari è un errore etico e politico: come Pd stiamo avallando l’idea di una corsa nazionalistica alle armi». Vengono persino evocati gli «appetiti degli apparati dell’industria militare» (avanzato da un esponente del partito che ha nidificato tra i vertici di questi apparati, il richiamo non manca certo di conoscenza dei fatti).
Ma prima che l’eternamente disorientato «popolo» dem, prontamente chiamato in causa nell’intervista, lanci alte grida di giubilo per la scoperta dell’ennesimo leader incaricato di recuperare la mitica, intransigente coerenza delle origini, di ripristinare l’intaccato superiore profilo morale, di riacquisire le preziose bussole di una integerrima opposizione alla guerra, è bene che segua con più attenzione il ragionamento dell’ex governatore toscano: «La Germania ha aperto la strada, in modo che definirei preoccupante, e l’Italia va al seguito. Non in un quadro di difesa comune europea, ma come risposta a una richiesta della Nato e dunque degli Usa».
Quello che a prima vista poteva apparire un mistero – un risoluto avversario degli «apparati dell’industria militare» e delle loro logiche di classe, capace di giungere a posizioni di dirigenza nel Pd – si è così subito diradato. C’è armamento e armamento, riarmo e riarmo, conta il «quadro» imperialistico in cui si inserisce.
Evidentemente, in mano ad una futura ed eventuale difesa comune europea, armi e industrie delle armi sarebbero sottratte alle logiche che presiedono al loro utilizzo in mano a Nato e Stati Uniti. In mezzo a questo sfoggio di pensiero «etico e politico», Rossi si abbandona, quasi en passant, ad una pesantissima, enorme, confessione: «La sinistra ha pensato che il mercato globale risolvesse i problemi di classe e quelli geopolitici. Non era così. E dopo decenni abbiamo perso persino gli strumenti cognitivi per analizzare le crisi». Ohibò…quella che Rossi definisce la sinistra credeva davvero che il mercato globale potesse risolvere nientemeno che «i problemi di classe» (leggi dominio capitalistico sulla classe proletaria, condizione sempre più precaria della merce forza-lavoro, un sempre più penoso assottigliarsi delle linee di difesa della classe operaia sottoposta ad una rinvigorita oppressione di classe e ad una sempre più incontrollata azione delle leggi del modo di produzione capitalistico e degli interessi borghesi)?
Davvero questa sinistra ha creduto che il «mercato globale» fosse qualcosa di esterno al capitalismo, potesse costituire addirittura una attenuazione o una negazione delle sue intrinseche contraddizioni e conflittualità?
Ha davvero pensato che il «mercato globale» potesse risolvere i problemi «geopolitici» (garbata espressione per indicare guerre, spartizioni, tensioni internazionali tra predoni capitalisti e imperialisti inevitabilmente in competizione)?
Altroché oblio degli «strumenti cognitivi»!
Certo è che se i segnali di un recupero di questi strumenti sono quelli che si colgono nella distinzione tra gli armamenti “cattivi” in mano all’imperialismo statunitense e quelli “buoni” in mano agli imperialismi europei, il difensore dell’identità originaria della sinistra è in realtà molto in continuità con chi, nel suo schieramento politico, ha spacciato per decenni la sudditanza più sconfortante ai dogmi del capitale come ultima parola del pensiero politico “progressista”. Un’ultima osservazione. Se l’ex presidente “dem” della Toscana ha finalmente fatto i conti con il grande errore della sinistra e non crede più che il «mercato globale» sia la panacea dei mali del capitalismo, cosa propone di diverso? Se non è ovviamente la piena, matura espansione globale del capitalismo (questo significa «mercato globale» per chi ha conservato un barlume di legame con «strumenti cognitivi» che non siano truffe ideologiche al servizio del dominio di classe borghese) a poter affrontare e risolvere i «problemi di classe», cosa occorre? Strano (si fa per dire) che, affrontando il crollo dell’illusoria soluzione ai «problemi di classe», non faccia mai nemmeno capolino l’esigenza, l’urgenza di organizzare, sostenere, rendere più forte e salda la lotta di classe della classe sfruttata. Se non si arriva a questa conclusione, i mea culpa per le nefaste illusioni sparse a piene mani tra il proletariato non sono il presupposto di una autentica correzione, i segnali di un percorso di acquisizione di una reale coscienza di classe, di un impegno politico finalmente coerente con gli interessi della classe che ha pagato sulla sua pelle i trionfi del «mercato globale» (così come le illusioni speculari del capitalismo in forma sovranista).
Sono solo un’autoassoluzione con cui prepararsi a spargere nuovi inganni.