Incomprensione
La morte dello studente diciottenne, al lavoro gratuito in uno stage in uno stabilimento in provincia di Udine, è qualcosa di lancinante per i suoi cari, un marchio di infamia per una società, le sue leggi e logiche di classe. Ma non ha nulla di misterioso e indecifrabile.
Come ci si può stupire, come si può esibire una propria improvvisa, dolorosa, sorpresa, di fronte a raffiche di infortuni, di morti sul lavoro, quando la classe lavoratrice è consegnata al capitale e ai suoi cicli produttivi sempre più precaria, disorganizzata, indifesa, socialmente svalutata?
Quando la forza-lavoro diventa, per limpida ammissione padronale, il fattore su cui si può principalmente, prioritariamente, e impunemente, agire per contenere i costi?
La classe dominante e i suoi tirapiedi politici non hanno esitato a consegnare persino i ragazzi in età scolastica, attraverso stage e progetti di alternanza scuola-lavoro, come manodopera gratuita e da impiegare (come era già scritto senza bisogno di essere scritto nei provvedimenti istituivi di queste pratiche) in mansioni più utili alle aziende che alla loro formazione professionale.
Eppure, quando il capitalismo cessa di essere compreso come formazione sociale, come sistema di rapporti storici storicamente criticabili e superabili, per diventare legge di natura, stato di natura del genere umano, anche il due più due più drammatico, chiaro, evidente, è operazione inarrivabile. E la morte di uno studente diciottenne, schiacciato da una putrella in uno stabilimento dove lavorava gratuitamente nel quadro di uno stage, diventa – nelle parole del presidente della Giunta regionale e dell’assessore regionale al Lavoro, espresse in un comunicato congiunto – «incomprensibile» (Corriere della Sera, 22 gennaio).
Archiviata la cronaca, nell’incomprensione, tutto può continuare come prima.
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