La “buona politica” e le sue galline
Il fondo di Angelo Panebianco, pubblicato sul Corriere della Sera del 21 gennaio, vorrebbe insegnare «cosa distingue la buona politica», perdendosi in svariate considerazioni, motivate dal cambio della guardia al Palazzo del Quirinale.
In una giravolta di massime e sentenze (tra cui l’immancabile condanna delle «fossilizzate ideologie novecentesche», in ennesimo omaggio alla fortunata ideologia tardo novecentesca della “fine delle ideologie”), ecco la sua formula: «È una politica in grado di mantenere un certo equilibrio fra la soddisfazione di interessi di breve termine e il perseguimento di interessi di medio-lungo termine. È una politica che rinuncia a consumare oggi tutte le uova disponibili (ne consuma solo alcune) in modo da avere qualche gallina domani».
A parte il fatto che sarebbe bello se ogni tanto le trovate degli affossatori delle “ideologie novecentesche” provassero a superare per analisi e progettualità le suddette ideologie, invece di sprofondare a livello della favola di Menenio Agrippa formato tweet, è interessante seguire, tenendo a mente le massime di Panebianco sulla “buona politica”, le misure messe in cantiere dal Governo presieduto dall’«intruso» tanto caro all’editorialista del Corrierone (e che solo i nostalgici della “ideologie novecentesche” si ostinano a considerare espressione di poteri economici e sociali non coincidenti col benessere generale e generico della società) e volte a fronteggiare il “caro bollette”. Dopo aver dato prontamente udienza a Confindustria e ad altre associazioni padronali e dopo aver convenuto, riporta la Repubblica (edizione online del 19 gennaio), che occorre «maggiore riflessione» sulla questione della tassazione dei cosiddetti extra-profitti
«incassati dalle aziende produttrici», il “Governo dei migliori” (la suggestione togliattiana aggiunge inquietudine) ha sfornato il decreto legge con cui far fronte ai rincari energetici: soldi in varie forme alle imprese (Confindustria e padronato vario, ça va sans dire, si sono lamentati, lo Stato sovvenziona troppo poco e non abbastanza a lungo, il liberismo e la meritocrazia del mercato, quali “ideologie novecentesche”…) e il contributo di solidarietà sugli extra-profitti limitato al settore delle energie rinnovabili (ma Il Sole 24 Ore del 22 gennaio rassicura: in base al testo del provvedimento, gran parte delle aziende del settore sfuggirà anche a questa misura).
Osservando il dispiegarsi di queste scelte di un Esecutivo guidato da un soggetto estraneo – ci ragguaglia l’editoriale del Corriere – alle «consorterie politiche esistenti» (per la verità non ci sembra che le linee di fondo cambino molto rispetto al sempiterno canovaccio del capitalismo italiano, al di là dell’allevamento in consorteria o meno), sorgono alcune domande.
Chi pagherà, chi sosterrà infine questo scambio di denaro, questa piccola o grande pioggia di finanziamenti tutta interna al mondo imprenditoriale e di fatto non derivante da alcuna sostanziale tassazione di profitti, extra o non extra? Perché il raddoppio di bollette per famiglie operaie, lavoratori precari, disoccupati, lavoratori pensionati con pensioni da fame, non ha richiesto alcuna «maggiore riflessione»?
Ma soprattutto, che fine hanno fatto le post-novecentesche uova e galline della “buona politica” di Panebianco?
La verità è che esistono le classi, esiste e opera la lotta di classe.
Chi cerca di negare questo con la solfa del Novecento ormai archiviato sta solo portando di fatto il suo contributo alla lotta di classe.
E sappiamo da che parte.
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