A ognuno il suo tempo
Il professor Sabino Cassese è tutto sommato soddisfatto degli effetti della pandemia sulla società italiana. Pur essendo un Paese sempre più pieno di anziani e in mano ad «una classe dirigente senza progetti per il futuro» (il professor Cassese, nato nel 1935, in passato attivo in numerose commissioni ministeriali, giudice della Corte costituzionale, membro del consiglio di amministrazione di importanti società, come Autostrade S.p.A e Assicurazioni Generali, presidente del Banco di Sicilia, ministro della Funzione pubblica e oggi editorialista del Corriere della Sera, è indubbiamente un’autorità in materia), ha mostrato sorprendentemente «alcuni punti di forza». «Appaiono sempre più fuori del proprio tempo i pochi che scioperano o manifestano. L’Italia era sfiduciata o piagnona, appare ora ordinata e persino patriottica» (Corriere della Sera, 18 dicembre).
In effetti l’anziano esponente della «classe dirigente» italiana ha solidi motivi per rallegrarsi e sentirsi a suo agio col «proprio tempo». Innanzitutto, nel gioire per il ritorno in auge del patriottismo, è ormai in buona e nutrita compagnia. Dentro e fuori i sacri confini. «Oggi, è il dovere di ogni patriota polacco sostenere lo Stato» (The New York Times, 13-14 novembre), sono parole di un leader del rigoglioso nazionalismo polacco, pronunciate nella cornice di una manifestazione pubblica in cui la folla ha esortato le guardie di frontiera a sparare sui migranti, uomini, donne e bambini, stremati dagli stenti, sospinti dalle autorità bielorusse sul confine della Polonia. D’altronde questo patriottismo si coniuga bene con il cristianesimo, formato centro commerciale, dei difensori delle patrie, del presepe e del sacro (quello veramente) profitto.
Di questo «tempo» noi abbiamo invece una percezione un po’ diversa. Vediamo la crescente protervia dei padroni che, senza alcun freno in tempi di pandemia (anzi), e con il benestare di fatto di tutta la «classe dirigente» (sinistra, populisti, patrioti e Cassese compresi) trattano gli operai come scarti umani, liquidando vite intere spese al lavoro, a far fruttare il capitale, con comunicazioni via email, via megafono, via teleconferenza (spegnere il monitor e togliere il disturbo…). Vediamo il proletariato deriso in spot “politicamente corretti” e socialmente, ferocemente, classisti. Vediamo le guerre e i massacri imperialisti del passato celebrati senza pudore, in preparazione del nuovo che già avanza. Vediamo le continue morti tra la nostra classe, mentre si inneggia alla ripresa. Nel settore edilizio la corsa frenetica al bonus, ad appalti e subappalti, lascia letteralmente i morti per strada. Lo abbiamo visto a Torino, nel giorno in cui usciva l’editoriale del
professor Cassese. Capiamo però perché il professor Cassese, insieme a tanti altri esponenti della «classe dirigente», apprezzi il dilagare, nella società italiana, della “docilità illuminata” («enlightened docility»).
Quale migliore garanzia perché i costi dei periodi di crisi vengano scaricati sulle solite schiene e i guadagni delle riprese finiscano nelle solite tasche? È vero, oggi siamo troppo pochi a protestare e scioperare contro queste logiche, questo trionfo disumano del capitale e di tutti i suoi servi. Forse è vero, questo non è il nostro tempo. Non è “nostro” un tempo in cui lo sfarzo e il lusso più beceri vengono additati come valori universali e i lavoratori soffrono perché vengono lasciati in mezzo ad una strada dall’oggi al domani. Ma, parafrasando una celebre espressione acquisita nel bagaglio della Chiesa (un organismo che, comunque sia, se ne intende di mutamenti storici), noi siamo “in” questo tempo ma non “di” questo tempo. E proprio per questo verrà il nostro tempo, il tempo della nostra classe, della fine di ogni classe e di ogni sottomissione di classe. Ma tutto questo il professor Cassese non lo può capire.
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