Il “de senectute” del capitalismo
Repubblica l’ha definita «nonna operaia» (edizione online, 8 novembre). È morta, dopo tre giorni di agonia, l’operaia padovana di 62 anni, soffocata perché il camice si è impigliato in un macchinario.
L’edizione bergamasca online del Corriere della Sera (19 novembre) ci informa che il muratore di 64 anni, morto a Milano per una caduta da un’impalcatura, il lunedì discuteva di calcio con il padrone.
A fine ottobre, il Fatto Quotidiano (edizione online, 23 ottobre) aveva riportato la notizia della morte, nel Ragusano e nel Modenese, di due manovali, anche loro precipitati nel vuoto. Uno aveva 60 anni, l’altro 71 (settantuno…).
L’ex ministro Pd Cesare Damiano rileva che «una quota importante delle morti sul lavoro è riconducibile alle cadute dall'alto di muratori anziani» (la Repubblica, edizione online, 12 novembre).
La discontinuità contributiva e la diffusione del lavoro in nero nel settore rendono ulteriormente difficile il traguardo di un pensione decente senza continuare a lavorare sui ponteggi anche in età avanzata.
Chissà se l’ex titolare del dicastero del Lavoro ha reso partecipi di queste osservazioni anche tutti i suoi colleghi di partito che negli anni hanno sostenuto immancabilmente (in piena sintonia di fondo con le altre coloriture politiche della borghesia italiana) le varie “riforme” volte a garantire il perseguimento del profitto sulla pelle dei lavoratori.
Chissà se ha fatto presente questi effetti drammatici ai membri dei vari Governi “amici” che nel corso del tempo, fino ai giorni nostri, hanno dimostrato una formidabile continuità nel rendere sempre più precario il lavoro dipendente e sempre più arduo il raggiungimento di un’età pensionabile e di una pensione che non siano una beffa crudele.
Chissà a quali contrite espressioni di cordoglio queste morti di operai in età di pensione ma senza pensione saranno stati indotti tutti gli economisti, gli accademici, gli ex pensatori prestati (talvolta a più riprese) alla politica, tutti assunti a tempo indeterminato per spacciare il dogma che la salvezza della società passa sempre e solo da una classe lavoratrice sempre più povera, ricattabile, sfruttata fino alla soglia della tomba.
Il loro sdegno ipocrita per la morte proletaria, i rituali appelli alla Costituzione, le ridicole “informative di sicurezza” prontamente disattese per la solita necessità produttiva, le formali proteste di sindacati ampiamente accodati ai valori padronali, tutto ciò va a comporre puntualmente un infame coro che accompagna sempre nuove morti operaie. Se non si denuncia la logica capitalistica alla base delle morti sul lavoro, se non si lotta contro lo sfruttamento capitalistico e non si indica con forza la necessità che la sicurezza sul lavoro sia difesa e imposta dall’azione e dall’organizzazione autonoma della classe operaia, le lacrime giornalistiche versate sulle morti operaie, la prosa di maniera con cui sfornare il quadretto stereotipato delle vite sacrificabili alle esigenze del capitale, sono solo una vergognosa presa in giro.
Se non ci si batte perché la classe lavoratrice venga sottratta ad una vecchiaia produttiva per il capitale, ma atroce e rovinosa per la dignità umana, le espressioni come «nonna operaia» sono un’irrisione.
La pacca paternalistica del padrone di schiavi sulla spalla dello schiavo, sulla sua vecchia schiena striata dalle frustate.
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