Il loro "leninismo", il nostro leninismo
Lo scontro interno alla Lega ha spinto Salvini, il
4 novembre scorso, a convocare d'urgenza un Consiglio federale.
Ciò avveniva in seguito alle differenti valutazioni (e aperte critiche) esposte pubblicamente dal ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, e delle diverse posizioni manifestate al contempo da alcuni governatori regionali leghisti, in particolare rispetto all'operato del Governo Draghi e alle misure di contenimento del coronavirus.
Per ultimo a esacerbare gli animi interni c'è stato l'incontro di Salvini con il premier polacco Morawiecki e quello ungherese Orban, in previsione di costituire un nuovo gruppo autonomo di matrice sovranista in seno al Parlamento europeo, mentre Giorgetti aveva da poco invocato l'auspicio che la Lega confluisse all'interno del Partito Popolare europeo.
A fronte di questo dibattimento, che non è un semplice gioco delle parti tra chi si figura come partito di Governo e chi di lotta, bensì è un confronto tra correnti borghesi all'interno di uno dei maggiori partiti della classe dominante italiana, è curioso che
La Stampa di Torino arrivi ad appellare come leninista il partito della Lega, giudicando l'esito di questa riunione d'emergenza. Su
La Stampa del
5 novembre (Francesco Olivo, "
Giorgetti si scusa. La vera partita è sui territori") si legge che Salvini è stato molto duro e ha preteso lealtà: chi lo ha ascoltato riferisce che non è stato «
mai così duro». Il segretario sarebbe stato fermo «
nell’ordinare la fine della polemiche interne».
A giudizio degli astanti Giorgetti si sarebbe «
allineato», «
ha alzato bandiera bianca», avrebbe persino chiesto scusa («
evidentemente mi spiego male con i giornalisti» riferiscono i testimoni).
Quel che emerge alla fine è un Salvini impietoso verso ogni forma di dissidenza e la conclusione dell'articolo de La Stampa non lascia adito a dubbi nel giudizio sulla forma-partito della Lega avvalorando una dichiarazione così riportata: «
il segretario ha ottenuto la sua “obbedienza”, persino le scuse, siamo sempre in un partito di fatto leninista, e Giorgetti, leghista della prima ora, sa come funziona».
Nella raffigurazione borghese usuale un partito leninista è dunque quello in cui il capo impone d'imperio la sua volontà.
Ma noi, che leninisti lo siamo davvero, abbiamo ben altra concezione che ci viene anche restituita dalla storia effettiva del partito bolscevico: un partito che si poteva definire leninista in quanto aveva improntato la sua strategia sulla base del marxismo, di cui Lenin è stato il miglior interprete e continuatore; un partito che era partito di quadri e non di un solo quadro circondato da "yes men" e peones messi in riga o alla porta da decisioni amministrative d'ufficio; un partito, infine, che era animato da correnti interne e in cui spesso Lenin si trovava in minoranza fino a ritrovarsi in svariate situazioni critiche a dover addirittura minacciare le sue dimissioni.
L'autorità di Lenin era insomma autorevolezza conquistata sul campo di una lunga e tenace militanza teorica, politica ed organizzativa. Il principio di autorità, che non vale per altro in nessun ambito autenticamente scientifico, attribuito invece improriamente al leader bolscevico e al partito da lui guidato, non è altro che l'ennesimo attacco al marxismo.