LORO E NOI - 30/09/2021
 
I liberatori di Marx

La recensione del libro di Isaiah Berlin su Marx (pubblicato recentemente da Adelphi), apparsa sull’edizione online de il Giornale (28 agosto), è stata l’occasione per riproporre le solite, trite, fasulle sentenze su Marx e il marxismo come radice del totalitarismo novecentesco.
Ma non solo. Ci sono anche una chicca e una curiosa (e mirata) pretesa. Partiamo dalla chicca. Le idee di Marx «sono ricondotte da Berlin al tempo ereditato e vissuto da Marx, ossia al suo tempo. In modo tale che il mito marxista del romantico genio assoluto che crea da sé, quasi come un parto di Giove, mezzi, strumenti, idee utili a capire la società e a trasformarla o a traghettarla verso un'altra e più giusta e migliore e addirittura necessaria società socialista, ne risulta ridimensionato, giacché quelle idee vengono rintracciate in altri uomini e pensatori precedenti, come Henri de Saint-Simon, Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi, negli illuministi scozzesi e anche in Alexis de Tocqueville e in Friedrich List e tanti altri».
Non sappiamo che singolari tipi di marxisti abbia frequentato l’autore della recensione per tirare fuori dal cilindro il bizzarro “mito marxista” del genio assoluto, svincolato dalle determinazioni sociali, dalle lotte e dalle condizioni del suo tempo, privo di influenze e connessioni con la precedente storia del pensiero, del tutto avulso da una fase storica e dalle sue dinamiche di fondo. Ma si sa, sulla stampa di questa o quella componente borghese, anche le più clamorose perle di ignoranza possono avere cittadinanza purché servano alla bisogna, all’attacco, al tentativo di sminuire la teoria della rivoluzione proletaria. Meno bizzarra, più frequente, ma comunque ambiziosa, è la pretesa: nientemeno di «liberare Marx dal marxismo e dai marxisti».
E via con la citazione d’uso di Marx che rifiuta la definizione di marxista. Peccato però, che bisognerebbe spendere qualche parola sul contesto storico e politico in cui la frase si colloca, sulle specifiche mistificazioni e deformazioni da cui Marx prende così le distanze.
Quando la consegna è negare all’elaborazione di Marx ed Engels il valore di un organico corpus teorico, ci si sente autorizzati al copia e incolla più spericolato. Al fondo di questi intenti “liberatori” non c’è in genere la comprensibile e condivisibile esigenza di distinguere il metodo, l’essenza, la genuina natura rivoluzionaria del marxismo da tutte le sue falsificanti cristallizzazioni prodotte da esperienze politiche e sistemi di potere estranei, se non ostili, all’obiettivo storico e al percorso rivoluzionario della società comunista.
C’è la pretesa di negare al marxismo ciò che è proprio del marxismo: l’essere partito, l’essere parte integrante del moto storico di emancipazione dal capitalismo, l’essere teoria, trasmissibile e collettivamente assimilabile, dell’azione politica dell’unica classe sfruttata e rivoluzionaria nella società capitalista.
Si vuole “liberare” Marx dal marxismo per confezionare, cucito e tagliato su misura, un Marx personale, individuale, innocuo, collocato comodamente, autore tra gli autori, tra i cari, vecchi classici del pensiero (un volume da estrarre dallo scaffale, con annessa rapida spolverata, magari per la citazioncina brillante da sfoggiare nella buona società).
Ad aggiungere un tocco di malinconica eccentricità a questa eterna campagna contro l’intrinseca funzione di classe e politica del lavoro teorico di Marx ed Engels contribuiscono nei fatti, oltre la loro volontà, anche soggetti favorevoli ad una critica radicale del capitalismo ma che si illudono che si possa fare i conti con la grande questione della falsificazione sistemica del marxismo, con le sue poderose ragioni storiche, dichiarando agevolmente guerra agli “ismi”.
Quando poi la “liberazione” di Marx dal marxismo si nutre, su questo versante, del compiacimento di ego fuori controllo, tesi ad un supremo, salvifico e diretto dialogo con i Maestri (tra giganti ci si capisce e ci si intende di primo acchito, anche attraverso i secoli…), allora la faccenda scivola davvero nel grottesco.

No, cari signori, non è certo innocente la vostra pretesa di incapsulare Marx sotto una piccola campana di vetro (in cui, sotto opportune sollecitazioni, si può generare a piacimento una nevicata dal dubbio candore), a fianco di altre innumerevoli capsule in cui confinare tutti i pensatori, i filosofi, gli economisti (a seconda dell’etichetta da appiccicare ai vari momenti di un percorso storico di riflessione ed elaborazione intorno al divenire sociale del genere umano), tristemente accomunati dalla funzione di giustificare, anche loro malgrado, la definitiva naturalità del modo di produzione capitalistico e della società borghese.
No, la vostra collezione privata è in realtà un grande, desolante, sterminato cimitero.
È il vostro cimitero, il cimitero del pensiero borghese come realtà storica feconda e progressiva.
Non c’è posto per Marx. La vita vi sfugge.