LORO E NOI - 15/09/2021
 
Il proletariato non paghi il conto della transizione ecologica

Da circa quattro anni, la fanfara mediatica borghese si è stracciata le vesti pressoché all’unisono per denunciare ciò che molti definiscono un rapido e severo collasso degli equilibri climatico-ambientali del nostro pianeta, dovuto all’emissione dei gas serra, nonché all’inquinamento di natura antropica.

Se ciò realmente sta avvenendo, è lecito chiedersi quale parte del “consesso antropico” abbia finora tratto giovamento dal perpetrare le condotte che a tutto ciò hanno portato.
Forse i lavoratori dipendenti? Ovviamente no.
Forse i capitalisti, guidati dalla loro insaziabile e cieca fame di profitto? Certamente sì.

Dal canto loro, i lavoratori salariati sono invece coloro che più hanno sperimentato gli effetti devastanti dell’inquinamento e dell’uso dissennato dell’ambiente da parte del capitale. A testimoniarlo, prima ancora che Greta Thunberg si scoprisse paladina di un ambientalismo che non tiene conto della divisione in classi (e quindi tanto caro alla borghesia), sono le migliaia e migliaia di lavoratori morti di cancro per amianto, per i particolati delle acciaierie, per i percolati in falda delle raffinerie o delle industrie chimiche, negli incidenti nucleari, seppelliti vivi nei disastri minerari o nei crolli delle dighe.

Ora, una parte del capitale, spinto dall’esigenza di attuare una riorganizzazione industriale su larga scala, sembra aver scoperto che ciò che ha fatto sino a ieri ha creato danni incalcolabili. Così, chiama i lavoratori salariati a sostenere il costo della “transizione ecologica”.

Dovranno i lavoratori, secondo queste frazioni borghesi, accettare di indebitarsi per acquistare costose utilitarie elettriche, se non vorranno soggiacere ad un maggior carico fiscale destinato a chi si ostina a circolare con vecchie auto inquinanti («chi inquina paga», è uno degli slogan più in voga al momento). Dovranno i lavoratori accettare la disoccupazione derivante dalla dismissione delle vecchie linee produttive come un prezzo “necessario” per salvare un ambiente che essi stessi non hanno contribuito a compromettere. Dovranno i lavoratori accettare di buon grado l’aumento dei prezzi al consumo dovuto alla sostituzione dei materiali ritenuti inquinanti con surrogati di nuova generazione più eco-compatibili, in un quadro di compressione salariale dal corso ultradecennale.

Il capitale, che ha creato il problema, ora ci chiede di sostenere i costi della sua risoluzione.
Ebbene, noi non ci stiamo.
Se transizione ecologica dev’essere, allora avvenga a scapito dei profitti, e non dei salari.
La transizione ecologica la paghino gli imprenditori, la paghino gli agenti del capitale, comprimendo i loro profitti, ottenuti devastando l’ambiente e sacrificando le vite dei lavoratori.
Che i costi della riconversione non li paghi chi, come i lavoratori, ha già pagato a caro prezzo i costi dell’inquinamento.