Appestati e dettagli
Qualche anno fa l’ex ministro Elsa Fornero uscì scossa dalla visione di un film che, in un certo senso, riguardava anche lei. «"Scusate, ma ora vado. Sono distrutta". Elsa Fornero ha assistito alla proiezione del film "L'Esodo" sul dramma degli esodati insieme a molte "vittime" della riforma pensionistica approvata dal governo Monti che porta il suo nome» (HuffPost, 29 novembre 2017).
Ma gli agenti e i professori della classe dominante conoscono l’arte di cospargersi il capo di cenere a metà e così l’ex titolare del dicastero del Lavoro aveva alternato nell’occasione espressioni contrite e rivendicazioni di merito, vittimismo e orgogliose affermazioni di principio. «Credevo – ha inoltre affermato in un tourbillon di sentenze autoassolutorie – di servire il Paese in un momento drammatico. Sono stata un'ingenua».
Sancta simplicitas, verrebbe da commentare…Ma anche le più candide figure di dotti prestati loro malgrado alla politica (e immancabilmente per il bene supremo del Paese che, guarda caso, mai combacia con il bene della classe lavoratrice) raggiungono un limite nella loro nobile naiveté. Difatti l’ex esponente dell’allora “Governo dei migliori” tuonò: «Non farò più il ministro, nemmeno se qualcuno me lo venisse a chiedere in ginocchio».
Ora, non sappiamo se Draghi o chi per lui si sia messo del tutto in ginocchio o abbia solo accennato un inchino, visto che la Fornero è tornata al Governo, ma appena appena, come consulente.
Solo chi non ha capito nulla della natura di classe delle formazioni populiste e sovraniste può stupirsi di come l’opposizione della Lega a questa cooptazione si sia risolta, dopo minacce di fuoco e fiamme, in un nulla di fatto. È la storia dell’opposizione farlocca dell’ala populista del mondo politico borghese ai provvedimenti borghesi. Mobilitazioni posticce nelle aule parlamentari, una sempre comoda (ed elettoralmente proficua) personalizzazione della questione (utile a lasciare in ombra come la cosiddetta riforma Fornero sia stata solo una componente di un lungo processo di ridimensionamento delle condizioni pensionistiche dei lavoratori, processo che ha visto pienamente coinvolti e consenzienti tanto il centrosinistra quanto il centrodestra, Lega compresa), qualche sceneggiata para-squadrista contro il ministro unico affamatore del popolo ad uso degli ingenui (quelli veri) e di una rinnovata verginità sociale del partito ex padano e liberista. Ben altri artigli sa sfoderare il
populismo-sovranismo quando deve difendere gli interessi di padroni e padroncini, suoi autentici grandi elettori.
Non meno veleno e tossine obnubilanti una memoria storica distilla l’altro fronte borghese, quello dei difensori della martire nel nome del risanamento dei conti pubblici (sempre a spese della classe lavoratrice, ché volgersi ai profitti non pare fine ed elegante).
Aldo Grasso sulla sua rubrica, in prima pagina del Corriere della Sera (25 luglio), ha assunto quasi un piglio vindice nei confronti dell’ex ministro, deplorando la campagna che si è scatenata ai suoi danni: «il fango gettato sulla donna prima che sulla professionista, gli insulti, le minacce, le manifestazioni sotto casa, gli attacchi alla figlia oncologa, la mancanza di solidarietà di molti. Ancora oggi».
D’altronde la stessa Fornero non ha mancato di riconnettere, con un afflato che chiama in causa una profonda esigenza riparatoria, la propria scelta di tornare a sporcarsi le mani con la politica governativa alla propria condizione di «appestata». Il dolore provato un tempo di fronte al film sugli esodati è stato, quindi, superato o rimane, grumo nascosto nei risvolti della coscienza del servitore dello Stato tornato in campo ancora una volta per il bene del Paese? Non ci avventuriamo certo a queste altezze del dramma borghese. Chi scrive si limita ad un ricordo personale, alla memoria di un vicino di casa che fu tra gli esodati. Torna alla mente la sua figura di lavoratore orgoglioso della propria professionalità e di quei traguardi di relativa stabilità che una vita di travagli, fatiche e contributi sembrava aver garantito, diventato invece di colpo troppo giovane per la pensione e troppo vecchio per il mercato del lavoro. La sua lotta quotidiana per conservare una propria
dignità in una crescente condizione di povertà (la tanto citata dignitosa povertà è sempre una sofferta e precaria conquista), le sue sobrie, asciutte confidenze su quanto fosse pesante, umiliante arrivare a fine mese con l’aiuto di un figlia pur coscienziosa e rispettosa della declinazione singola, famigliare, di un dramma sociale. Questi sono e sono stati i veri “appestati” nella società borghese e della politica borghese a cui anche Lei ha contribuito, professoressa Fornero. Nel suo dolore governativo rispetti almeno un minimo il senso delle proporzioni storiche e sociali.
Senza troppe ostentazioni di crisi di coscienza se l’è cavata invece Aldo Grasso nella sua ricostruzione del profilo umano e politico della docente subissata di fango (ed effettivamente è stato troppo spesso un fango impastato con la demagogia ingannatrice di forze non meno borghesi e antiproletarie dei provvedimenti che portano il nome della Fornero) per essersi assunta onerose responsabilità in un momento drammatico. Prima di lanciarsi nel ricordo della via crucis dell’ex ministro, chiude disinvoltamente i conti con i costi sociali della sua opera: «Senza entrare nel dettaglio di una riforma complessa e molto dolorosa». Esatto, “dettagli”. Questo sono – ci ricorda con ammirevole franchezza il titolare della rubrica in prima pagina del Corriere – nelle logiche del capitale, dei suoi agenti, dei suoi politici, dei suoi tecnici e professori, le vite, le speranze, i dolori e la dignità di tutti quegli esseri umani che continuano a portare quotidianamente (non sorrida
dottor Grasso, non pianga professoressa Fornero) le catene del proletariato.
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