La crisi del regime cubano non smentisce il marxismo
Di fronte ai triti trionfalismi degli apologeti del capitalismo, che indicano le vaste manifestazioni di protesta contro le autorità cubane, le gravi condizioni di vita della popolazione alla base di queste agitazioni, come ennesima conferma del fallimento dell’alternativa comunista alla società dominata dal capitale, c’è una verità che non possiamo sottacere.
Di fronte alle patetiche contorsioni, ai balbettii imbarazzati, alle formule sempre più fragili con cui i sostenitori del regime cubano cercano di difenderne la presunta natura progressiva, c’è una realtà che non possiamo tralasciare.
I solerti cantori della fine dell’ “utopia” del comunismo caraibico, puntuale espediente per solennizzare la società capitalistica come stato di natura sottratto ad ogni critica radicale e ad ogni sviluppo storico rivoluzionario, per fornire ulteriore slancio alla totale affermazione di una “sinistra” definitivamente adagiata sui dogmi del capitale, e gli ormai sparuti e sfibrati nostalgici dello sfiorito mito castrista, convergono nel riconoscersi nella più grande truffa ideologica della Storia: il comunismo realizzato e poi fallito.
Il diffuso malessere sociale che attraversa Cuba non è circoscrivibile a singoli provvedimenti economici, ad una contingenza internazionale, al passaggio di poteri ai vertici dello Stato. Quello che è in crisi è un regime che costituisce un residuo di una spartizione globale che nulla aveva a che fare con la contrapposizione tra capitalismo e comunismo, tra due modi di produzione differenti.
Il potere cubano è la stentata, difficilmente riformabile, sopravvivenza di un modello capitalistico ad alto tasso di statalismo e dirigismo che aveva nell’Unione Sovietica il referente storico principale.
La rivoluzione cubana affermatasi nel 1959 è accostabile, pur con le sue specificità, a molteplici fenomeni che hanno caratterizzato buona parte del Novecento: rilevanti, significativi processi di mutamento degli assetti politici, di modifica e talvolta di potenziamento dei presupposti sociali di successivi sviluppi capitalistici, rivolte e non di rado autentiche rivoluzioni anti-colonialiste, contadine, nei fatti democratico-borghesi, lotte di indipendenza nazionale, tutti eventi necessariamente inscritti nell’orizzonte delle condizioni dei rapporti capitalistici ma, per precise ragioni storiche, destinati ad assumere le forme ideologiche, i richiami, la simbologia della rivoluzione comunista. Una rivoluzione comunista che questi processi non erano nelle condizioni oggettive per perseguire realmente.
Il grande schema ingannatorio della morte del comunismo con la caduta del Muro di Berlino e il collasso dell’impero sovietico trova inevitabilmente oggi interpreti e interpretazioni giocoforza su scala ridotta, ma, ancora una volta, in grado di trovare alleati, in maniera solo apparentemente paradossale, proprio nei superstiti supporter del comunismo avveratosi (in toto o in parte) nell’isola caraibica.
La realtà è che solo una disperata o interessata ignoranza degli elementi basilari del marxismo, solo una conoscenza distorta, teoricamente inconsistente, delle esperienze storiche dei rapporti di classe e della lotta di classe, può fare da presupposto al contrabbando ideologico della crisi del regime cubano come trionfo di un eterno pragmatismo nell’accettazione dei rapporti capitalistici come punto di arrivo della storia umana.
Che gli affanni drammatici di una formula capitalistica debole e non competitiva possano giustificare un’ennesima campagna contro quel metodo di analisi e di comprensione dei processi storici, quella teoria autenticamente rivoluzionaria che è il marxismo e che può coerentemente volgere le armi della sua critica sulla stessa formazione sociale cubana, è qualcosa che, se considerato astrattamente, può apparire persino volgarmente farsesco.
Ma questo rozzo imbroglio ha dalla sua la forza, i sostegni, la sostanza prevaricatrice della classe dominante. Siamo ancora immersi in una fase in cui non possiamo opporre alle ragioni della forza altro che la forza della ragione, consapevoli di quanto questi termini del confronto siano sfavorevoli ad un vasto radicamento di elementi di verità che pure si possono misurare con straordinaria validità e vitalità con gli sviluppi e i tornanti della Storia. Ma ogni proletario, ogni soggetto che voglia andare alle radici sociali delle proprie condizioni di sfruttamento e alienazione, che sia disposto ad incamminarsi sulla strada dell’acquisizione di una autentica coscienza rivoluzionaria, dovrà volgersi al marxismo, facendo i conti con tutte le mistificazioni che la classe dominante dissemina inevitabilmente sul percorso.
Ed è su questo percorso che dobbiamo ritagliarci un nostro spazio, contribuendo a far sì che i piccoli, preziosi frutti che oggi la maturazione di una coscienza rivoluzionaria può apportare, maturino con coerenza e forza. Condizione per un domani che dovrà e potrà essere strappato alla condanna capitalistica, alle sue menzogne.
|