C’era una volta
La borghesia produce e riproduce costantemente brutte favole.
Favolacce in cui l’orrore reale del suo mondo è sminuito, negato o attribuito ad altri fattori, relegato in spazi circoscritti e deresponsabilizzanti.
In genere questi racconti finiscono schiantandosi con la realtà, ma solitamente non sono i borghesi a farsi male. Anzi, non di rado, gli stessi pifferai magici che dispensano e modellano queste fiabe ingannevoli torneranno puntuali a predicare da qualche pulpito, incuranti dei precedenti fiaschi, senza pagare dazio per tutte le fandonie disseminate.
Essere al servizio della classe dominante conferirà pure qualche salvacondotto. Sono i proletari, a cui in linea di massima questi racconti mistificatori sono destinati, a pagare sulla propria pelle il conto di una realtà che procede oltre schemi il cui compito non è quello di favorirne la comprensione bensì favorire questa o quella frazione della classe dominante.
È finita la favola della contrapposizione tra Unione europea come patria ideale dei diritti, illuminata e aperta al mondo e Regno Unito quale monopolista dell’egoismo, della chiusura miope e grossolana sul proprio interesse immediato e sui propri rancorosi sogni di benessere. Potrà un domani tornare in auge, ma per ora finisce con una chiusura simbolica come l’intervento di Michel Barnier, ex negoziatore europeo sulla Brexit, sui temi della politica francese. È un fuoco di fila incentrato su legge e ordine e toni nazionalisti: più mezzi alle forze di polizia, giro di vite nelle risposte del diritto penale, moratoria sull’immigrazione da tre a cinque anni, stop ai ricongiungimenti famigliari, il tutto impacchettato con la fierezza di nutrire «un’ambizione immensa» per il proprio Paese (Le Figaro, 10 maggio).
È questa l’alternativa al gretto nazionalismo britannico? È questa l’Europa faro di civiltà, pace e accoglienza per i popoli? Sono queste le espressioni di uno spazio politico europeo improntato a valori universali e a nobili aspirazioni senza confini, contrapposto al sordido egoismo, alla brutale tradizione isolazionista e dominatrice dei sudditi di sua maestà? La favola della società britannica come pietra dello scandalo di una natura capitalistica ormai addolcitasi e umanizzatasi sul continente è, per ora, dimenticata. L’imperialismo non risiede solo al di là della Manica. L’imperialismo francese con i suoi servitori, come ogni altro imperialismo europeo, con più o meno assertività a seconda della propria forza, scelte e tradizioni politiche, concepisce l’integrazione europea solo attraverso il prisma dei propri interessi. È europeista solo e fintanto che può trarne vantaggio e senza mai dimenticare che anche gli altri Paesi membri possono rappresentare dei rivali e portare avanti
idee di Europa estranee e dannose. Il persistere del nazionalismo francese, italiano, tedesco etc. non è in contraddizione con l’attuale stato dell’Unione.
Chi ha predicato che l’Unione europea, in regime capitalistico, potesse tradursi in qualcosa di differente da quell’entità definita da Lenin o impossibile o reazionaria, ha spacciato menzogne e illusioni.
Soprattutto tra il proletariato internazionale.
I predoni imperialisti che rimangono radunati, ognuno con le proprie armi in pugno, nel covo comunitario non sono migliori di quello che ne è uscito.
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