LORO E NOI - 30/04/2021
 
Tra il dire e il fare c’è di mezzo la lotta di classe

Nell’ultimo periodo bisogna prestare ancora più attenzione del solito alle dichiarazioni di qualsivoglia esponente politico, non solo nostrano. Mai come oggi la distanza tra i “desiderata” politici e la realtà è stata così corposa.
Vuoi per la demagogia populista, e non solo, imperante, vuoi per la modalità di narrazione della campagna elettorale permanente, ma tra i proclami politici e quello che ne consegue nel concreto spesso, soprattutto se si parla di redistribuzione della ricchezza in favore della classe salariata, ci passa davvero più di un mare.
Se voltiamo lo sguardo oltreoceano, e nello specifico verso il nuovo inquilino della Casa Bianca, le cose non cambiano, anche se la stampa, pure quella nostrana, gli sta dando un grandissimo credito.
L’Amministrazione Biden è intenzionata a dare un giro di vite fiscale volto alla redistribuzione della ricchezza. E così ha inviato a decine di Paesi la propria proposta di riforma contro l’elusione e i paradisi fiscali. Il Sole 24ore, versione online del 9 aprile, riporta la notizia che: «La Casa Bianca ha fatto sapere, a partner e critici, di essere disposta a compromessi, ma al fine di accelerare i tempi è partita lancia in resta con le sue proposte di vaste riforme del regime di tassazione corporate. I primi documenti, ha rivelato il Financial Times, sono stati inviati a quasi 140 capitali impegnate da tempo in trattative multilaterali in ambito Ocse finora procedute a rilento: contengono le sue proposte volte a combattere corse a elusione e a paradisi fiscali, a cominciare da un’efficace minimum tax globale sulle imprese».
Non solo, la Casa Bianca starebbe trattando anche all’interno il rialzo delle aliquote fiscali proprio con la sua maggioranza democratica al Congresso. In ballo ci sarebbe una impennata dell’aliquota societaria al 28%. Gli stessi esponenti dell’ala moderata dei democratici, capitanati dal senatore Joe Manchin della West Virginia, chiedono però un 25%, quando adesso siamo al 21% (con la riforma Trump). È necessario però l’appoggio di tutti i senatori del proprio partito per assicurarsi l’approvazione, visto che comunque anche la maggioranza alla Camera pare essere risicata.
Lo stesso Jeff Bezos, patron di Amazon, l’uomo più ricco del mondo, avrebbe dichiarato di essere sostanzialmente d’accordo con questa linea, basta che i capitali raccolti servano per finanziare nuove infrastrutture.
A oggi è ancora prematuro dare giudizi sull’esito di questa proposta di riforma, ma la stampa, soprattutto “di sinistra”, sta dando molto risalto a tale iniziativa, in alcuni casi dandola per scontata.
Ma scontata non è, non solo nella sua realizzazione ma anche per le conseguenze concrete che avrà di fatto sulla pelle dei lavoratori. Soprattutto se l’endorsement viene da una società tipo Amazon che fa di tutto per impedire la formazione di sindacati nelle proprie aree produttive e che recentemente si è vista “obbligata” ad ammettere che i suoi dipendenti a volte sono costretti a urinare in bottiglie di plastica per non tardare le consegne. Il dubbio che queste proposte di riforma vengano imbastite per venire incontro agli interessi dei lavoratori è dunque più che legittimo.
I “doni” della borghesia nei confronti del proletariato, soprattutto se elargiti in assenza di lotta di classe, spesso e volentieri reclamano un velato e salato pegno.