La maledizione dell’eterno presente
In un articolo “di costume” riportato sul quotidiano web Italia Oggi, Christophe Clavé ci offre uno spunto di un certo interesse.
Il quoziente intellettivo medio (QI) della popolazione mondiale, che risultava in crescita dal secondo dopoguerra fino alla metà degli anni Novanta, subisce un’inversione.
Sorvolando sul concetto di QI (su cui è legittimo nutrire dubbi) è la motivazione dell’inversione ad essere interessante. Stando a Clavé, il motivo risiede nell’impoverimento del linguaggio: «La graduale scomparsa dei tempi (congiuntivo, imperfetto, forme composte del futuro, participio passato) dà luogo a un pensiero quasi sempre al presente, limitato al momento: incapace di proiezioni nel tempo».
Ora, non è nostro interesse determinare se l’impoverimento del linguaggio produca un impoverimento dell’intelletto o viceversa.
Ci interessa invece soffermarci su un altro aspetto: l’eterno presente, veicolato ideologicamente e costantemente dalla società borghese, che, anche grazie ad un proletariato silente, rifugge il conflitto e l’evoluzione sociale.
Un eterno presente, senza un passato e senza un futuro. La società, nel complesso, è sempre stata la stessa, le figure sociali, al di là di un cambio di nomi e delle vesti che portano, sono sempre state presenti e sempre lo saranno, l’evoluzione è soltanto tecnologica e non sociale.
Il concetto di proprietà non è mai mutato nel tempo, il denaro è sempre esistito, le classi sono qualcosa di indistinto, sciolte in una generica suddivisione tra ricchi e poveri.
Così era, così è e così sarà. Ciò che è oggi era ieri, con qualche pittoresca differenza, e così sarà in futuro.
Oggi l’ideologia corrente non si basa neanche più sull’assioma che il capitalismo è il migliore dei mondi possibili, ma che il capitalismo, concetto ormai desueto per caratterizzare la società odierna, in realtà è sempre esistito, la società di oggi, nei suoi tratti fondamentali, è sempre stata questa, in un continuum praticamente eterno.
Una visione borghese cieca, semplicistica, buona per il dominio di classe ma non certo per la formazione individuale o per spiegare la realtà attuale e il divenire storico.
Una visione dominante, invasiva, che penetra nel contesto sociale e che si riverbera anche nel linguaggio, impoverendolo, imbarbarendolo.
L’ennesima maledizione che grava sulla testa del proletariato, da combattere e arginare, l’ennesima espressione della barbarie di una società ormai storicamente fuori tempo massimo ma che nel suo dominio di classe s’illude eterna.
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