LORO E NOI - 16/02/2021
 
Al mercato delle identità

L’area che si è stretta intorno all’esimia figura di Mario Draghi, ex presidente della Banca Centrale Europea, è ormai decisamente affollata.
Dal Pd, sempre disponibilissimo a dare il proprio appoggio alla borghesia europeista e rispettabile che rispettabilmente torchierà ancora di più i lavoratori (casi Monti e Jobs Act insegnano), fino agli ex apritori di parlamenti come scatolette di tonno, allineatisi, tramite responso democratico e diretto sulla piattaforma digitale, intorno al nuovo simbolo della rivolta dei puri e degli esclusi dal sistema.
In mezzo c’è il resto del mondo, il mondo politico assai poco raccomandabile della classe dominante: liberali, liberisti e libertari (nel senso di garantire ogni libertà al capitale e ai suoi tirapiedi). Il tutto mentre l’omino di Confindustria, fresco e solerte elogiatore del costo del lavoro saudita, sbraita ai quattro venti attribuendosi il merito ultimo di tutta l’operazione.
Ricorda quasi la raffigurazione di quei banchetti e di quelle corti tra il tardo rinascimento e l’assolutismo, con tanto di cortigiane e giullari. O un dipinto di Hieronymus Bosch, se si preferisce.
Ma una menzione speciale meritano i prodi difensori leghisti della Nazione.
A loro va riconosciuta un’indubbia reattività e velocità di esecuzione: hanno pienamente dimostrato che – opportunamente stimolati da imprenditori e industriali che rimangono i loro veri, grandi elettori – sanno togliersi il cappello di fronte alla personificazione dell’Europa delle Banche con la stessa sveltezza con cui imbracciavano il tricolore contro i barconi di immigrati (e in un passato meno recente ringhiavano contro i meridionali). Ad ennesima dimostrazione che la prosa e le viscere possono essere plebee ma l’anima rimane immancabilmente borghese.
Impagabile infine è stato lo spettacolo offerto al Parlamento europeo al momento del voto sulle regole per il nocciolo del Recovery fund. L’orda sovranista che avrebbe dovuto travolgere con la sua barbarica energia rigeneratrice tutta l’architettura sovranazionale tirata su dall’Europa delle élite si è clamorosamente spaccata lungo linee divisorie nazionali a proposito dell’utilizzo dei cari, vecchi danè. La Lega favorevole alla spesa, senza se e senza ma, i tedeschi di Alternativa per la Germania contrari mentre i destri francesi della Le Pen si sono astenuti.
Insomma dalla marcia su Bruxelles alla strategia di Qui, Quo, Qua. Il loro gruppo nell’Europarlamento si chiama Identità e Democrazia (ID) e il presidente leghista (ex M5S e anti-euro) ha seccamente polemizzato con gli (ex?) compari di nazionalismo tedeschi, difendendo a spada tratta il «professor Draghi» (Il Sole 24 Ore, edizione online 10 febbraio). Per la serie: scherza con i fanti ma lascia stare i santi…soprattutto se si sta trattando l’ingresso nella cabina di regia per gestire fondi miliardari.
Meglio non fa Fratelli d’Italia che si inventa “l’opposizione patriottica”.
Come già osservato, lo spettacolo generale potrebbe contenere anche spunti di (greve) umorismo. Se non fosse per quel senso di disgusto nel constatare come oggi, al livello attuale della lotta di classe proletaria, tutte queste capriole e giravolte possano essere effettuate in pressoché totale tranquillità, coprendosi il fianco nei confronti dell’elettorato proletario con generose dosi di panzane: l’oggi dimenticata, ma fino a ieri totalizzante, invasione immigrata e la lotta contro i “poteri forti” (per definizione ubicati sempre e solo in casa d’altri). Insomma, saldato il debito “sociale” a suon di sceneggiate, i sovranisti, da buoni borghesi quali sono, possono interloquire disinvoltamente con i poteri veramente forti di cose serie e che riguardano da vicino gli elettori che contano, e le loro tasche. Il gruppo ID si chiamava prima “Europa delle Nazioni e della Libertà”. Il nome era azzeccato: al servizio della propria borghesia nazionale e liberi di rifilare al proprio proletariato ogni fregnaccia utile alla bisogna. Ma anche la nuova denominazione non è male. L’identità la danno di volta in volta i propri referenti borghesi, sempre nel sacro vincolo di quella democrazia capitalistica in cui i proletari devono rimanere sottomessi.