Gruppo di famiglia in un interno
Su Sette, supplemento settimanale del Corriere della Sera, del 24/12/2020, è comparso un servizio fotografico dal titolo «Alla vita che verrà». Le fotografie fanno da intermezzo, all'interno della rivista, ai soliti articoli di moda/società/costume ecc.
Le foto ritraggono decine di nuclei famigliari nel loro ambiente domestico, in attesa della nascita di un figlio.
Sono 36 fotografie, in cui sono presenti 70 persone di cui è specificata l’attività lavorativa.
Si delinea così un piccolo affresco sociale in cui i soggetti chiaramente riconducibili al lavoro salariato e alla condizione proletaria appaiono una minoranza, una presenza marginale in una raffigurazione dominata da liberi professionisti appartenenti a vario titolo ai settori informatico-tecnologico, giornalistico, creativo, artistico, imprenditoriale.
In questa istantanea di una società in cui trionfa l’essere imprenditori di se stessi, gli operai sono rappresentati da una (dicasi una) persona.
È davvero scomparsa la classe operaia, come ormai da decenni una spiccia vulgata continua a proclamare? E con essa è evaporata la stessa condizione salariata, lasciando il posto a un popolo di manager e “creativi”? Eppure gli addetti del solo settore metalmeccanico in Italia superano ancora abbondantemente il milione di unità. Eppure la legislazione emergenziale a seguito della pandemia ha scrupolosamente garantito che milioni di operai, di magazzinieri, di addetti alla logistica, di
muratori, di cassiere ecc. potessero essere sempre e comunque impiegati, confermando la persistente centralità della forza-lavoro salariata nel modo di produzione capitalistico, la sua funzione fondamentale nel sorreggere l’intero impianto della società borghese. Ma, per quanto indispensabile, una classe proletaria che non lotta, che non si batte contro i propri sfruttatori, che non impone le contraddizioni della propria condizione, le proprie rivendicazioni, all’attenzione dell’insieme della società, è come se non esistesse. Deve solo sgobbare, reggere sulle sue spalle tutta l’impalcatura sociale e ritirarsi in silenzio quando è ora di mettersi in posa per salutare la «vita che verrà».
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