LORO E NOI - 25/12/2020
 
Si portano avanti con il lavoro

Si avvicina il centenario del congresso di Livorno che sancì la nascita del Partito Comunista d’Italia. Ognuna delle anime politiche della borghesia italiana si attrezza per ricordarlo a modo suo, attingendo al rispettivo arsenale ideologico.
L’area di Repubblica si è gettata a capofitto in un’operazione che mischia la nostalgia per i bei tempi in cui l’impegno politico era passione e serissima militanza, e la puntuale condanna della scelta scissionistica, arrivando a brandire terminologie religiose per ribadire l’errore di una divisione che avrebbe consegnato la sinistra indebolita alle prevaricazioni fasciste.
E così, tra il nuovo libro di Ezio Mauro e la sua presentazione sulle pagine del quotidiano del 22 novembre, il “giro” Repubblica spara ad alzo zero parole come «dannazione» e «peccato originale». Ora – si lamentano al contempo – le grandi visioni hanno lasciato il posto all’arido e all’osceno del presente, la grande esperienza dell’impegno per l’emancipazione proletaria è un capitolo chiuso per sempre (l’intellighenzia di sinistra in Italia ama decretare la fine totale e assoluta, l’impossibilità definitiva per tutti, di ciò che ha rifiutato o che le è ormai precluso).
Che quelle passioni politiche, che quelle vite spese per potenti ideali, la cui scomparsa fa tanto frignare di nostalgia gli odierni “progressisti” immersi nel «tempo del Nulla», si alimentassero della dinamiche della lotta di classe, dell’elaborazione politica intorno a orizzonti teorici e tracciati strategici per dare compimento rivoluzionario a questa lotta, è un dato con cui comprensibilmente i sinistri nostalgici ed esecratori possono fare i conti solo a metà. Per andare oltre bisognerebbe misurarsi con decenni di responsabilità a sinistra nell’opera di delegittimazione, di denigrazione, di irrisione del concetto stesso di lotta di classe (se non addirittura di classe) e della prospettiva rivoluzionaria. Bisognerebbe trarre un serio bilancio di stagioni intere di adeguamento passivo e solerte alle tendenze e alla mode capitalistiche, dalla globalizzazione al più bolso legalismo, dalla flessibilità all’europeismo.
Ma gli attuali piagnistei per i tempi in cui la politica era ben altra cosa non sono una svolta, una discontinuità rispetto a questo squallido percorso di appiattimento alle esigenze e alle logiche del capitalismo, preferibilmente nelle sue declinazioni e nei suoi travestimenti progressisti, moderni e à la page. Ne sono la più coerente prosecuzione. Così come coerentissima è la condanna del “peccato” di arroganza estremista e bolscevica consumatosi a Livorno. Una logora sentenza pronunciata per l’ennesima volta in nome di una interpretazione di conflitti e sviluppi storici ridotti e costretti nella categorie di sinistra e destra, di fascismo e antifascismo, rigorosamente sottratte ad un vero confronto con la realtà e la spinta delle classi, con identità e progetti a questa realtà intimamente collegati. Lorsignori rimpiangono il «fuoco di fede» che deriva dalla militanza di classe e rivoluzionaria ma lo vorrebbero senza le complicazioni che ne conseguono. Vorrebbero lo spessore, il rigore dei militanti e dei quadri della lotta di classe e della rivoluzione, vorrebbero i grandi dibattiti delle epoche di ferro e di fuoco che pongono sotto tensione ordinamenti e rapporti sociali, ma tutto all‘interno del recinto della rivoluzione “green” e del capitalismo illuminato.
 Troppo comodo.
Ma in fin dei conti questi prosatori del rimpianto e della condanna sono gente scaltra. Gli occhi umidi di nostalgia non gli impediscono di rimanere aggrappati al loro salvifico realismo di sedicenti riformatori di un assetto sociale che non possono, e non vogliono, mettere in discussione.
I sospiri per le epoche di forte coscienza proletaria non gli impediscono di scorgere gli inconvenienti e i pericoli che il loro ruolo è destinato ad affrontare in quelle fasi. Molto più comodo e salutare per loro, in definitiva, continuare a sguazzare nella palude di quel «Nulla» dell’odierna politica borghese di cui sono pienamente parte. E sollevare la testa solo per bollare i “peccati” di chi ha tentato di andare oltre la vera dannazione dell’eterno presente capitalistico.
Sull’altro versante dello scenario politico della borghesia italiana si giudicano troppo indulgenti persino queste fiacche e malsane nostalgie. Il Giornale (edizione online del 18 dicembre) non corre rischi e va sull’usato sicuro: la rivoluzione proletaria, il comunismo si sono pienamente realizzati con lo stalinismo, i cui crimini, i cui fallimenti decretano l’impossibilità e la crudele impostura dell’alternativa storica al capitalismo. E pazienza se il PCd’I del 1921 era tutt’altra cosa rispetto al successivo PCI stalinista-togliattiano. Pazienza se il partito delle origini fu conquistato e deformato, estromettendone l’originaria direzione nel quadro internazionale di un’ascesa stalinista che si sarebbe poi completata attraverso lo sterminio di un’intera leva di comunisti e rivoluzionari. Pazienza se i rapporti di produzione capitalistici, le leggi del capitale, non sono stati mai superati nella cosiddetta patria del socialismo.
Il “socialismo in un solo Paese”, il “socialismo reale”, tutte le varie esperienze di capitalismo di Stato avvolte nella bandiera rossa sono stati l’inverarsi autentico della società comunista. Devono esserlo per legittimare la formula ideologica dell’eternità del capitalismo, del capitalismo come punto di approdo finale della storia umana, come espressione storica finalmente compiuta della natura umana.
Queste scontate sconcezze le abbiamo lette e ascoltate ormai un’infinità di volte (e infinitamente grata deve essere la borghesia di ogni latitudine all’inganno stalinista, che ha consentito di diffondere su scala planetaria la menzogna del comunismo realizzato e fallito). Torneranno ancora in voga ogni qualvolta scoccherà la ricorrenza, aleggerà la memoria, di una delle grandi paure attraversate dalla classe dominante.
Prepariamoci a vederle riproposte in abbondanza nel centenario del gennaio 1921.
Intanto, qualcuno si porta avanti col lavoro.