Un “secondo violino” dal valore inestimabile
Esattamente due secoli fa, il 28 novembre del 1820 nasceva a Barmen (oggi sobborgo di Wuppertal) Friedrich Engels. Nel supplemento domenicale del Corriere della Sera (La Lettura del 22 novembre) Marcello Musto dedica un approfondito articolo alla figura del grande rivoluzionario, alla sua vita, al suo costante impegno per la causa del proletariato internazionale. «Divenne ateo e i due anni trascorsi in Inghilterra, quando ventiduenne fu mandato a lavorare a Manchester nel cotonificio Ermen & Engels, furono decisivi per la maturazione delle sue convinzioni politiche. Fu allora che osservò di persona gli effetti delle privatizzazioni, dello sfruttamento capitalistico sul proletariato e della concorrenza tra gli individui. Entrò in contatto con il movimento democratico cartista e s’innamorò di un’operaia irlandese, Mary Burns, determinante per la sua formazione».
Nel 1845 pubblica La situazione della classe operaia in Inghilterra, una magistrale descrizione delle condizioni di vita e di lavoro dei proletari inglesi di metà 800. Insieme a Marx elabora le basi teoriche del socialismo scientifico.
Nel 1849 ritorna, dopo la sconfitta della rivoluzione, in Inghilterra e, come Marx, vi rimane sino alla morte. «Divenne il “secondo violino”, come lui stesso si definì, e per sostenersi e poter soccorrere l’amico, frequentemente senza lavoro, accettò di dirigere la fabbrica del padre, a Manchester, fino al 1870. Anche durante questo ventennio, però, non smise mai di scrivere».
Ha lasciato al movimento operaio opere di assoluto valore teorico unendo attraverso una fortissima identità politico-metodologica, il materialismo dialettico, argomenti diversi: unici sono i suoi articoli sulla guerra, gli scritti di natura storica e scientifica, le opere filosofiche e politiche volte a difendere il marxismo dalle prime semplificazioni, mistificazioni o deformazioni presenti nel movimento operaio e in particolar modo nella socialdemocrazia tedesca. Dopo la morte dell’amico ad Engels va attribuito l’ulteriore merito di aver curato la pubblicazione del secondo e del terzo libro del Capitale, oltre a ristampare diverse riedizioni di opere già note di Marx. «Nella nuova introduzione a una di queste, Le lotte di classe in Francia, composta pochi mesi prima di morire, Engels elaborò una teoria della rivoluzione che si adattava al nuovo scenario europeo. Il proletariato era divenuto maggioranza e la presa del potere per via elettorale, grazie al suffragio universale,
avrebbe consentito di difendere, al contempo, la rivoluzione e la legalità. Questo non voleva dire — come suggerito dai socialdemocratici tedeschi che manipolarono il testo in senso legalitario e riformistico — che la “lotta di strada” non aveva più alcuna funzione. Significava che la rivoluzione non poteva essere pensata senza la partecipazione attiva delle masse e che ciò richiedeva “un lavoro lungo e paziente”. Leggendo Engels e osservando lo stato in cui versa oggi il capitalismo, nasce la voglia di ricominciarlo».
C’è chi, provando a ricollegarsi teoricamente al grande maestro, quel lungo e paziente lavoro non lo ha mai interrotto.
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